La ‘santa alleanza’ anti-Cav affida alle toghe la spallata per tornare al voto

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La ‘santa alleanza’ anti-Cav affida alle toghe la spallata per tornare al voto

16 Febbraio 2011

La tela del ragno. Berlusconi va processato, e subito. C’è la prova evidente dei reati, la competenza non è del tribunale dei ministri (concussione) né della procura di Monza (prostituzione minorile).  Data in agenda: 6 aprile.  Così il gip del Tribunale di Milano. Tre donne togate si occuperanno del Rubygate, due delle quali in passato hanno giudicato processi che in maniera più o meno diretta riguardavano il gruppo imprenditoriale di Berlusconi. Soddisfatta la Boccassini e Bruti Liberati dice “ora andremo in udienza”.  Il voto del parlamento?  Carta straccia per i pm milanesi, come per le vestali della sacralità delle istituzioni: Casini, Fini, Bersani ieri non hanno detto niente di diverso rispetto a quello che ripetono da giorni: fuori il Cav. da Palazzo Chigi, subito al voto.

Non importa se il 3 febbraio l’Aula di Montecitorio con una maggioranza assoluta ha detto no alla richiesta della procura milanese. E non conta neppure se la maggioranza in Parlamento c’è e se così hanno deciso gli elettori. Non importa se solo tre mesi fa le opposizioni, vecchie e nuove, sostenevano il contrario argomentando che se il governo aveva i numeri avrebbe dovuto governare e proprio per questo Napolitano non poteva sciogliere le Camere. Valeva tre mesi fa, non più oggi, al punto che il Colle ora dovrebbe mandare tutto all’aria e gli italiani alle urne.  

Il Guardasigilli fa presente un concetto semplice semplice: è in gioco la sovranità del parlamento. In uno stato di diritto vale la presunzione di innocenza fino a prova contraria perché “allora tutti gli indagati sono colpevoli e tutti devono fare un passo indietro?  Il presupposto parlamentare esiste, per otto volte il governo ha avuto una netta prevalenza su l’unione di tutte le opposizioni, da Di Pietro a Bersani”, passando “da Fini e Casini”.

Il Cav. non ci sta a farsi cacciare dalla scena politica per via giudiziaria e ieri ha fatto il punto coi suoi puntando sui numeri della maggioranza, anche se nelle file del Pdl c’è qualche irritazione per la telefonata tra Bossi e Bersani (quest’ultimo ha rilanciato l’offerta di un patto col federalismo in cambio della testa del premier) e per l’intervista su La Padania al leader Pd. L’asse Pdl-Lega per ora tiene, lo ha ribadito Bricolo ieri e tuttavia il Senatur nel vertice serale col Cav. a Palazzo Grazioli ha chiesto garanzie precise sui tempi dell’approvazione dei decreti attuativi della riforma federale. Giovedì con Calderoli riferirà al Senato e domani la capigruppo della Camera dovrà calendarizzare la data.  

Il punto della vicenda lo spiega Alfredo Mantovano quando osserva che se la legge è uguale per tutti, ciò vale anche per il rispetto dei tempi, ma “oggi l’esigenza è di mandare a casa Berlusconi e quindi per motivi politici si anticipano i tempi giudiziari”. E se di fronte a un voto popolare democraticamente espresso l’opposizione incapace di esprimere un’alternativa di governo tifa per “un’alternativa giudiziaria che si fonda sul nulla e che si basa su decreti di perquisizione che normalmente richiedono una pagina di motivazione e che in questo caso invece sono stati dilatati in 600 pagine per gettare fango su Berlusconi, il sottosegretario all’Interno è convinto che lpunico obiettivo è delegittimare il premier. Cicchitto sottolinea che quando si tratta del premier scatta una “giustizia a orologeria” e Lupi ricorda come mai prima d’ora si va “a un rito immediato e guarda caso la sinistra contestualmente chiede le dimissioni del premier”. Il conflitto di attribuzione potrebbe essere sollevato dal centrodestra in parlamento, ma se nell’Aula di Montecitorio la maggioranza assoluta c’è, non è così nell’ufficio di presidenza che dovrà valutare l’eventuale richiesta e dove il ruolo di Fini potrebbe risultare determinante.

Sul fronte giudiziario per i legali del premier la decisione del gip Di Censo non è una sorpresa. In queste ore stanno mettendo a punto la strategia difensiva e dovranno decidere tra rito abbreviato, patteggiamento o rito ordinario. Quello che fin d’ora appare verosimile è che nel corso della prima udienza potrebbero sollevare il conflitto di competenza, invocando per questo il giudizio davanti al Tribunale dei ministri, considerato il giudice naturale.

Ma qual è il quadro giudiziario che attende Berlusconi nei prossimi mesi? A Milano sono sei i processi che dovrà affrontare. Si comincia il 28 febbraio quando riprenderà il procedimento relativo ai presunti fondi neri sui diritti tv di Mediaset che vede il premier accusato di frode fiscale. Il 5 marzo è fissata l’udienza su Mediatrade, ultimo filone d’inchiesta sui diritti tv arrivato al giudizio di un gup. Berlusconi deve rispondere di appropriazione indebita fino al 2006 e frode fiscale fino al 2009.

Sei giorni dopo torna il processo Mills, anche se lo stesso giorno il premier sarà a Bruxelles  per un consiglio d’Europa straordinario sull’economia ed è dunque possibile che venga invocato il legittimo impedimento. Sempre in primavera, il Cav. dovrà affrontare il procedimento relativo al passaggio dell’intercettazione tra Giovanni Consorte e Piero Fassino nell’indagine sulla mancata scalata alla Bnl da parte di Unipol. Per Berlusconi i magistrati hanno chiesto l’archiviazione delle accuse di ricettazione e concorso in rivelazione di segreto d’ufficio.

Infine si potrebbe profilare un’udienza camerale per un’altra richiesta di archiviazione presentata dal procuratore aggiunto Francesco Greco, sul presunto aggiotaggio quando a Santa Margherita Ligure il premier sollecitò gli imprenditori a non fare pubblicità sui giornali che “remano contro” il governo. 

Da ieri si è aggiunto il Rubygate che potrebbe procedere a tappe serrate e in caso di condanna, potrebbe essere inflitta dai giudici anche l’interdizione dai pubblici uffici che secondo molti addetti ai lavori potrebbe scattare già col primo grado. Forse è questa la vera spallata che la ‘santa alleanza’ anti-Cav. attende, consegnando di fatto alle toghe ciò che finora ha fallito in parlamento. Per via politica e nelle urne.