La scelta del Cav. rimette in gioco il centrodestra, senza più alibi per nessuno
25 Ottobre 2012
C’è molto di un anno fa nel gesto del Cav. Passato e presente, perché il futuro è tutto da costruire. Autunno 2011: Berlusconi lascia Palazzo Chigi, senza essere mai stato sfiduciato, consentendo l’avvento di Monti e di un governo tecnico chiamato a operare scelte dolorose ma necessarie per il Paese, nel segno della continuità. Autunno 2012: Berlusconi si chiama fuori dalla competizione per la premiership e apre da protagonista una nuova pagina per la storia del centrodestra.
Adesso non ci sono più alibi per nessuno e “il campo è arato” per dirla con Quagliariello. Adesso è chiaro e la chiarezza, si sa, paga sempre in politica come nella vita. Il seme che dovrà germogliare in frutti – per usare la metafora del vicepresidente dei senatori Pdl – racchiude in sé tutta la saggezza e il travaglio di una decisione meditata, assunta senza il bilancino delle convenienze o delle contingenze. Nella parole di Berlusconi che – non a caso le mette nero su bianco – si tira indietro per far fare un passo avanti all’idea messa in campo fin dal ’94 e poi rimasta a lungo appesa ai bizantinismi della politica, c’è la visione strategica di un’area moderata da riunire su programmi e idee condivise e tuttavia già cementata su valori comuni, come unica risposta all’antipolitica, all’impegno di portare il paese fuori dalla crisi, al rischio di un governo guidato da Bersani e fortemente condizionato da Vendola (un deja vu ai tempi di Prodi).
“Per il bene dell’Italia si possono fare pazzie e cose sagge”, scrive il Cav. consegnando alle cronache che un domani diventeranno storia, il senso di un atto di responsabilità. Non scontato, né automatico al giorno d’oggi. A maggior ragione per un leader carismatico e un partito fortemente incentrato sul carisma del capo. Berlusconi ha compreso che il progetto di proiettare il Pdl oltre lui senza per questo rinnegarlo, imponeva una scelta definitiva da parte sua.
Del resto, la realtà che si andava palesando – molto più di un rischio -, era quella di un Pdl lacerato, diviso in liste e listarelle, spacchettato e per questo sulla strada di un suicidio politico (come peraltro ampiamente evidenziato dai sondaggi); in una prova di forza tra personalismi e rivendicazioni che avrebbe lasciato sul campo della politica solo macerie e vittime. Nessun vincitore.
Oggi la realtà è un’altra: Berlusconi consegna al partito che ha fondato e alla classe dirigente che in questi hanno si è formata, un’eredità politica da spendere nella quale il Pdl può diventare l’architrave della riaggregazione dei moderati e non uno dei tanti mattoncini di un puzzle.
Indietro non si torna. E a sancirlo è anche l’indicazione sulle primarie: primarie aperte per scegliere il suo successore. C’è una data -16 dicembre – e un partito che adesso si concentrerà solo su quello, come dice Alfano, rinviando al dopo il capitolo alleanze.
Già, Alfano. L’accelerazione degli ultimi giorni ne evidenzia il ruolo. Dopo le cannonate della Santanchè (il Pdl è morto, viva il partito di plastica) e la reazione di chi come Quagliariello non ha esitato a dichiarare che se quella era la linea lui si chiamava fuori (seguito a ruota dalla maggioranza del partito), il segretario ha tracciato una rotta: rilanciare il Pdl accelerando la stagione del rinnovamento. La svolta è stata a Norcia (al convegno della Fondazione Magna Carta) da dove Alfano ha annunciato la nuova squadra incaricata insieme a lui di portare a termine il compito. E se quel passaggio lo si rilegge oggi, alla luce delle parole di Berlusconi, si comprende come il giovane segretario abbia gettato il cuore oltre l’ostacolo. Nel faccia a faccia col Cav. che ha preceduto la nota di Palazzo Grazioli, Alfano ha tenuto il punto motivando le ragioni e le potenzialità di un partito affatto morto. Le primarie poi, sono il risultato di ciò che Alfano aveva già proposto e incassato nel documento votato qualche tempo fa nell’Ufficio di presidenza del partito. In tutto questo non c’è contrapposizione nei confronti di Berlusconi, bensì la difesa di ciò che Berlusconi stesso ha costruito in 19 anni e che oggi va consolidato e proiettato democraticamente in una nuova dimensione.
Le primarie. Non saranno né potrebbero essere alla Pd, con regole e regole delle regole per imbrigliare il competitor di turno; la mission vera è riannodare il rapporto con gli elettori e solo con un coinvolgimento dal basso è possibile riacquistare il consenso e ampliarne la platea. Sul piano politico poi, queste primarie saranno un banco di prova per tutti (la sfida è sui contenuti, non sui personalismi), da Alfano in giù.
Adesso gli alibi stanno a zero. A cominciare da Casini che dovrà decidere se trasformare l’indifferenza o il sospetto delle ultime settimane in un impegno comune per riaggregare il campo dei moderati. Il leader Udc ha provato a smarcarsi dallo spiazzamento della decisione del Cav. dicendo che se lo aspettava e che Berlusconi è un uomo intelligente ma adesso è proprio lui a dover fare un passo in avanti, sapendo che la svolta impressa dall’ex premier e da Alfano andrà comunque avanti, indipendentemente da Casini e i suoi intendimenti. Perché il passo indietro del leader carismatico e le primarie aperte sono la cifra di un’evoluzione, di un cambiamento, che ribalta gli schemi tradizionali e può riaggregare un elettorato deluso e distante. Si può essere protagonisti di questo nuovo corso o spettatori. Forse, Maroni lo ha già capito quando dice che l’atto di Berlusconi “apre nuove prospettive per il futuro”. Potrebbe essere così anche per la riforma elettorale: tramontata definitivamente l’ipotesi di uno ‘spezzatino’ può darsi che finisca in archivio anche la tentazione di tenersi il Porcellum. Lo vedremo nei prossimi giorni al Senato.
E Monti? L’apertura del Cav. è chiara così come – raccontano in Traslatantico – il ‘pressing’ esercitato sul premier nell’incontro a Palazzo Chigi affinchè colga l’occasione di esser guida dei moderati, proseguendo nell’azione riformatrice e liberale che necessita al Paese pur non rinunciando a criticare alcune scelte assunte dall’esecutivo tecnico. E’ ovviamente un discorso di prospettiva quello di Berlusconi che, comunque vada, Monti non potrà non considerare.
Quello del Cav. non è un passo indietro: è un passo in avanti col quale, ancora una volta, ha aperto la pagina nuova di una nuova storia.