La sceltà migliore è un governo di unità nazionale
10 Febbraio 2009
di Barry Rubin
Molta gente non capisce cosa sta succedendo in queste ore nella politica israeliana; ecco allora un giudizio breve e imparziale sulla questione. Se facciamo un paragone con il passato, attualmente ci sono molte meno differenze tra i tre partiti principali che si sono sfidati alle elezioni. Questo fatto è dovuto perlopiù alla situazione corrente che appare piuttosto inflessibile.
E’ facile descrivere alcuni come dei conservatori rabbiosi che sprecano le opportunità di raggiungere la pace, e altri come aggressivi militanti di sinistra pronti a fare troppe concessioni. Nessuna di queste due rappresentazioni è corretta se non per quelle fazioni politiche che comunque non daranno forma alla politica israeliana. Sono tentato di aggiungere che, all’estero, la sinistra pensa che siamo il male, mentre la destra pensa che siamo stupidi. Tutto questo ha poco a che vedere con la realtà.
Il tema dominante nella copertura mediatica internazionale su queste elezioni è che gli israeliani stanno virando a destra. Ma è un’affermazione fuorviante oltre a essere un fraintendimento. La vera mossa israeliana è stata quella di spostarsi verso il centro, che è rappresentato non solo da Kadima e dal Likud ma anche dai laburisti. La grande maggioranza degli israeliani ha votato partiti vicini a posizioni centriste come mai è avvenuto in nessun momento della sua storia.
Il mantra della sinistra è la pace ma è piuttosto difficile immagine come raggiungerla con l’Iran,
L’ANP non sta mostrando neppure alla lontana di essere capace di costruire la pace su basi realistiche. Tutti lo sanno, sia nell’ANP che nella leadership israeliana; pochi nei media e nelle accademie occidentali sembrano essere anche soltanto vicini a capirlo. Numerosi governi si rendono conto ufficiosamente della situazione ma quando sono in pubblico parlano in maniera molto diversa.
Il mantra della destra invece è la vittoria, anche se è altrettanto difficile immaginare come farà Israele a sostituire i governi iraniani e siriani, o a distruggere Hamas e gli Hezbollah. Per raggiungere questi obiettivi Israele ha poco, se non nessun sostegno internazionale, e gli mancano grandi alternative a quelle che sono attualmente sul tappeto. Cosa hanno imparato gli israeliani durante l’ultimo decennio che ha modellato la loro visione delle cose?
– Abbiamo scoperto che i palestinesi e i siriani non vogliono e sono incapaci di fare la pace.
– Abbiamo capito che Fatah è ancora un partito pieno di estremismo e che la sua leadership è troppo debole e inflessibile da poter raggiungere un accordo di pace esaustivo.
– Abbiamo assistito all’ascesa di Hamas come un gruppo consacrato alla guerra permanente contro Israele, che ha occupato metà dei territori governati dai palestinesi, utilizzando come base dei propri attacchi la terra da dove Israele stesso si era ritirato in precedenza.
– Abbiamo sperimentato il continuo odio del mondo arabo e del mondo musulmano nei confronti di Israele, ampio e duraturo nonostante le concessioni israeliane.
– Abbiamo osservato l’ascesa della potenza iraniana, potenzialmente dotata dell’arma nucleare, il cui regime ha come esplicito obiettivo la distruzione di Israele.
– Ci siamo anche accorti che il mondo non ha premiato Israele per aver fatto concessioni e perché si era assunto dei rischi. Infatti, quanto più Israele concedeva, tanto più aumentava il grado di diffamazione e di ostilità in vari settori.
Come risultato di tutto questo, in Israele è aumentato un consenso nazionale sui seguenti punti:
– Israele vuole la pace e farà vere concessioni per una pace stabile e duratura, e una soluzione “due popoli/due stati”.
– Pochi ritengono che la leadership palestinese – l’ANP e Fatah – voglia o sia capace di raggiungere questo tipo di accordo nel corso dei prossimi decenni. Lo stesso discorso vale per
– Di conseguenza qualsiasi cambiamento reale a Gerusalemme, negli insediamenti sulle Alture del Golan o in West Bank, appare molto lontano.
– Non può essere raggiunto alcun accordo con Hamas. Ma neanche Hamas sparirà. Lo stesso vale per l’Hezbollah.
– Il punto chiave è difendere Israele e i suoi cittadini per dargli la possibilità di continuare a vivere in modo normale.
– L’Iran è un pericolo concreto e, quando sarà vicino a ottenere le armi nucleari, dovrà essere presa una grande decisione sull’attaccare o meno le sue installazioni.
Come risultato di questo consenso nazionale – accettato dai Laburisti, dal Likud e da Kadima, insieme a tanti altri – il prossimo governo può essere un governo di unità nazionale. Chiunque diventi primo ministro farà bene a far entrare nel suo schieramento uno o tutti e due gli altri partiti principali. Ma quale sarà la “policy del consenso” israeliano nel prossimo governo?
– Insistere che vogliamo la pace, che siamo pronti per uno Stato palestinese, che non siamo responsabili del conflitto e della violenza persistente.
– Mantenere la deterrenza e difenderci.
– Preservare le migliori relazioni possibili con gli Stati Uniti, l’Europa e altri paesi purché non comportino alcun rischio per gli interessi nazionali israeliani e per la nostra cittadinanza.
– Continuare la cooperazione nell’ambito della sicurezza con l’ANP per prevenire gli attacchi terroristici contro Israele, in cambio di aiuti economici, e contro Hamas, per assicurarci che l’organizzazione non prenda il potere nella West Bank. Se mettiamo da parte le illusioni che dominano Fatah e l’ANP, questo sforzo sembra che stia funzionando.
– Decidere quando reagire contro Hamas – e potenzialmente contro l’Hezbollah – in risposta a qualsiasi attacco che ci venga rivolto. Una risposta precisa dipende nel tempismo, dalla opportunità e dal comportamento che avranno i nostri avversari.
– Lavorare per ottenere l’isolamento dell’Iran, dell’Hezbollah e di Hamas.
Dove sono le differenze più importanti tra i partiti principali? Sono più differenze atmosferiche che reali: offrire piccole concessioni; fare piccole richieste. Se gran parte delle elezioni ruota attorno a queste personalità è perché la strategia e la politica non sono poi così enormemente diverse tra loro. Bibi non s’imbarcherà in una campagna di costruzione di insediamenti; Tzipi non cederà Gerusalemme est. Qualsiasi difetto possano avere si tratta di qualcosa di positivo, e questi candidati stanno dando risposte sostanzialmente appropriate alla situazione.
Barry Rubin è il direttore del Global Research in International Affairs (GLORIA) Center.
Traduzione Fabrizia B. Maggi
Tratto da Free Republic