
La scomparsa di Luciano Pellicani lascia un vuoto incolmabile. Ma le sue idee resteranno in vita per sempre

10 Maggio 2020
Non è facile tracciare un ritratto nitido del professor Luciano Pellicani a distanza di un mese dalla sua dipartita. La Pasqua è trascorsa da poco e la Resurrezione è la destinazione finale per ciascuno di noi. Ma per questo professore pugliese la vita voleva dire molto altro. Vivere per Pellicani era anzitutto manifestare un pensiero compiuto, affermare con forza un’idea e difendere quell’idea come si fa con un bimbo appena nato. Si badi bene: quello che segue non è un ricordo di un accademico o di un collega di Luciano, no. Quello che segue è semplicemente il ricordo che una ex studentessa universitaria ha di una figura così importante per la formazione di quanti hanno avuto la fortuna di entrare in contatto con lui.
Titolare della cattedra di sociologia presso la Facoltà di Scienze Politiche dell’università Luiss “Guido Carli” di Roma e già direttore della rivista Mondoperaio, Pellicani si presentava ai suoi studenti come una persona austera, severa e rigorosa. O perlomeno era questo quello che lui lasciava percepire di sé. Le sue lezioni – sempre affollate di studenti – si svolgevano per lo più in una delle tante aule messe a disposizione dalla sede di viale Pola, primo edificio e punto di riferimento per noi matricole. Ci divertivamo noi studenti a vederlo giocare con il filo del microfono mentre spiegava le basi della sociologia e, nei pochi momenti di pausa, si cercava di ripassare sui testi quanto appena spiegato dal docente. Il libro Dalla società chiusa alla società aperta (Rubbettino) e l’introduzione alla sociologia generale di Guy Rocher erano le pietre miliari su cui fondare la nostra preparazione in vista della prova conclusiva. E per noi alle prime armi quello di Pellicani era uno dei primi esami da dover sostenere, se non addirittura il primo.
Eravamo terrorizzati: bastava pronunciare malamente Max Weber per dover ripetere la materia alla prima occasione disponibile. Insomma, ognuno di noi faceva del proprio meglio per cercare di apprendere il più possibile una disciplina affascinante come la sociologia. E ogni studente era attratto dall’insegnamento di Pellicani non per l’obbligatorietà della materia nel proprio corso di studi. Il fascino di quel professore derivava dal fatto che egli non si piegava mai a nessuna logica: di partito o politica che fosse. Era un pensatore libero, onesto, specchiato, trasparente. Ma soprattutto onesto proprio perché sapeva difendere con forza le idee in cui credeva: i modelli sociali di Sparta e di Atene, il ruolo giocato dal mercato all’interno di queste entità, la società chiusa e la società aperta, la libertà degli antichi e quella dei moderni. Nel corso della spiegazione, non sminuiva mai concetti complessi per farli capire a tutti: desiderava che lo studente approfondisse lo studio per arrivare a comprenderlo meglio. “Leggete i quotidiani – ci suggeriva a brutto muso – non siamo in una facoltà di farmacia!”. Aveva ragione, eccome. Lo ritrovai anni dopo come presidente della commissione di laurea dopo aver discusso la mia tesi in Politica Economica Internazionale. Fu severo nel giudizio anche in quella circostanza, ma giusto nel riconoscere meriti e demeriti del laureando. Riuscì comunque alla fine a strapparmi un sorriso, una sorta di liberazione per avercela fatta.
E’ passato un mese da quando Luciano Pellicani ci ha lasciati e già sembra una vita fa. La sua figura, quella di Dario Antiseri e di Rocco Pezzimenti resteranno sempre nella mente di chi ha avuto la fortuna di crescere insieme a lui e insieme a loro. La gratitudine in questi casi è anche saper benedire la vita per le persone che pone lungo il nostro cammino.