La sentenza dell’alta corte britannica sulla Brexit? Rafforza solo Theresa May

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La sentenza dell’alta corte britannica sulla Brexit? Rafforza solo Theresa May

06 Novembre 2016

La sentenza della Corte Suprema del Regno Unito non è così importante come i titoli dei giornali suggeriscono e non significa affatto un’inversione o addirittura un rovesciamento di Brexit. Titoli come quelli del Daily Mail, “Enemies of the People” riferito a giudici ritratti in parrucca, o “The Judges versus the People” del “Telegraph”, come i titoli che parlano di betrayal (tradimento) del popolo e di Brexit sono esagerati quanto quelli dei giornali italiani – in testa i republicones e i foglianti – che delirano sui giudici che stoppano  Brexit. La sentenza della Corte Suprema ha soltanto deciso, accogliendo il ricorso di alcuni attivisti, che l’attivazione dell’art.50 di Lisbona con cui la Gran Bretagna avvierà le procedure per il divorzio dalla Ue non sia decisa dal governo May, ma passi attraverso la consultazione del Parlamento. A parte il fatto che Theresa May farà ricorso a questa sentenza e quella attuale potrebbe essere annullata dalla Corte Suprema, per ora si fa solo tanto rumore per nulla.

In ogni caso, come osserva su “Euro Intelligence” il direttore Wolfgang Münchau – l’autorevole editorialista del “Financial Times” che stroncò Mario Monti e ne previde la disfatta alla elezioni del 2013, odiato dai republicones e dal club Goldman Sachs – la sentenza potrebbe rivelarsi addirittura un grande regalo per Theresa May e i brexiter. Se la Corte Suprema rimarrà sulla decisione della necessità di una consultazione del Parlamento per decidere i tempi e le procedure per attivare l’articolo 50, sarebbe un regalo alla May perché, se si verificassero problemi per l’attuale governo inglese, non resterebbero che le elezioni. E, come conclude Münchau, le elezioni sarebbero stravinte da May, perché oggi, secondo i sondaggi, rivincerebbe Brexit e perché gli avversari del partito laburista si sono divisi su Brexit, a partire dal leader Corby, che non si è mai capito se faceva propaganda per il Leave o il Remain. In Scozia, poi, il partito laburista è scomparso, soppiantato dal nazionalisti scozzesi.

Alle considerazioni di Münchau va aggiunto che era proprio desiderio dei brexiter e di Theresa May di avere più tempo per preparare i negoziati, mentre il nostro capo boyscout, Renzi, berciava che il divorzio doveva essere veloce e in tempi brevi. La Merkel, sotto elezioni nel 2017, aveva invitato nell’immediato post-referendum a dare tempo ai britannici: intanto la borsa di Francoforte si fondeva con quella di Londra. Juncker ha poi alzato anche lui la voce e ha chiesto un divorzio veloce, alla fine anche la Merkel ha chiesto tempi certi e veloci. La May ha deciso di iniziare Brexit di marzo. Ora, come sappiamo, gli inglesi vogliono uscire dall’Ue, perché non vogliono immigrazione, né concedere benefit e welfare agli immigrati dal Continente, né firmare trattati commerciali passando attraverso Bruxelles, ma autonomamente. Però May e i brexiter vorrebbero mantenere l’accesso al mercato unico europeo. Sappiamo come i tedeschi considerino l’uscita della Gran Bretagna dalla Ue un ridimensionamento  della stessa Unione Europa a potenza economica secondaria, e quindi della Germania, come ha più volte ricordato Jens Weidmann presidente della Bundesbank.

E quindi anche la Germania, in fondo, vuole tempi lunghi in attesa delle elezioni tedesche e soprattutto di quelle francesi che potrebbero produrre un presidente pronto a uscire dalla Ue. La sentenza della Corte Suprema potrebbe condurre, come osserva Münchau,a una Brexit più soft, ma anche a una più hard. E forse, aggiungiamo, tempi più lunghi per la Brexit potrebbero comportare altre uscite dall’Unione, fino a una evaporazione della Ue, tenendo  conto della sospensione a tempi indefiniti di Schengen di vari Stati europei, per non parlare dell’Ungheria di Orban, il cui leader chiede il veto Ue alle quote di migranti provenienti da Italia e Grecia. Brexit, poi, non è stata per la Gran Bretagna la catastrofe che Repubblica, Stampa, Corriere e perfino Il Sole si auguravano, nell’irrazionale illusione di trarre qualche vantaggio per il nostro povero Belpaese. Con la svalutazione della sterlina, l’export, il turismo, i consumi interni sono lievitati, è aumentato il Pil, ma soprattutto le aziende giapponesi, a iniziare dalla Nissan, hanno riconfermato la presenza in Gran Bretagna.

La Nissan ha addirittura deciso di ampliare gli stabilimenti inglesi. L’obiettivo del Regno Unito – come dice Niall Ferguson, un sostenitore criptico di Brexit, nonostante si dichiari antiBrexit  – è diventare il primo partner commerciale cinese e ospitare miliardari  cinesi in vacanza nelle bellissime tenute scozzesi.  Brexit non vuol sentire parlare di “human rights” e, come sappiamo, neppure i cinesi vogliono farlo, tanto che detestano Obama e Hillary per l’ipocrisia della politica estera statunitense. Per i media del capo boyscout, Renzi, c’è poco da gufare. Sarebbe anche ora, come ha scritto Luigi Zingales, in un articolo critico sulla gestione del Sole 24 Ore, che i quotidiani italiani si ricordassero che “giornalismo è pubblicare quello che qualcuno non vuole vedere stampato, perché tutto il resto è pubblicità”. Sarebbe l’ora di accorgersi che per l’Italia Maastricht e l’euro non funzionano, perché l’Italia non è la Germania (l’euro è il marco tedesco) e dovremmo renderci conto che far indossare al nostro Paese il vestito troppo stretto di Maastricht l’ha portata sull’orlo del baratro.