La sentenza Dell’Utri smonta il teorema “politico” di Spatuzza e Ciancimino jr

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La sentenza Dell’Utri smonta il teorema “politico” di Spatuzza e Ciancimino jr

29 Giugno 2010

La chiave di quello che da qualche mese a questa parte era diventato un processo "politico-mediatico" per le incursioni davanti ai giudici di Gaspare Spatuzza e le mezze frasi di Massimo Ciancimino sta nella riga che la Corte di Appello di Palermo tira in modo netto tra i fatti antecendenti e successivi al 1992.

Delle accuse contestate al senatore di Fi Marcello Dell’Utri, condannato a sette anni per concorso esterno in associazione mafiosa, sono state cassate quelle che lo indicavano come presunto mediatore nella trattativa tra Stato e Cosa Nostra nel periodo delle stragi di mafia, garante di un "patto" politico-mafioso che avrebbe poi portato alla nascita di Forza Italia.

Il che significa che tutte le dichiarazioni dei pentiti, le testimonianze e i documenti che parlano dei rapporti tra Dell’Utri e la mafia dopo l’anno delle stragi palermitane sono cadute perché "il fatto non sussiste”.

Archiviate, dunque le accuse dell’aspirante pentito Gaspare Spatuzza che aveva stravolto la routine processuale parlando di un incontro con il boss mafioso Giuseppe Graviano avvenuto nel gennaio del 1994 in un bar di Roma: ”Graviano era molto felice, disse che avevamo ottenuto tutto e che queste persone non erano come quei ‘quattro crasti’ dei socialisti. La persona dalla quale avevamo ottenuto tutto era Berlusconi e c’era di mezzo un nostro compaesano, Dell’Utri", ha raccontato Spatuzza.

Affermazioni che la Corte non ha ritenuto convincenti. Esattamente come il racconto di Massimo Ciancimino che aveva parlato della trattativa tra Stato e mafia indicando nel senatore azzurro il presunto intermediario. Racconto per ben due volte considerato dai giudici "contraddittorio" e riferito per sentito dire, cioè di seconda o terza mano e per questo non credibile.

Un teorema che si è sciolto come neve al sole ma che per mesi ha tenuto banco nel dibattito politico e sulle prime pagine dei giornali vicini al centrosinistra (Rep in testa) lanciatissimi sulla scia delle dichiarazioni degli Spatuzza o dei Ciancimino jr di turno. Con un unico obiettivo: arrivare a Silvio Berlusconi attraverso i suoi più stretti collaboratori, stabilendo una sorta di nesso tra loro e Cosa Nostra. Obiettivo fallito, certificato da una sentenza.

Su questo fronte, assoluzione piena per Dell’Utri ma solo per "condotte successive al 1992”, recita il verdetto dei giudici. Per il resto, sono stati confermati sentenza e impianto accusatorio del primo grado, riducendo di due anni la pena che il tribunale aveva calcolato in nove (il procuratore generale ne aveva chiesti undici).

Una sentenza che le forze politiche interpretano in maniera opposta. Il centrodestra, nonostante la pena inflitta al senatore siciliano, rimarca il fatto che i giudici hanno tracciato un solco netto tra prima e dopo il 1992 e smontato il ”teorema” secondo cui Forza Italia sarebbe nata assecondando la mafia. Le opposizioni, Idv in testa, sostengono invece che la Corte ha ribadito che Dell’Utri ha avuto rapporti con Cosa nostra.

Molti nel Pdl confidano nella Cassazione ed esprimono solidarietà all’esponente azzurro. Sulla stessa lunghezza d’onda il leader della Lega Bossi per il quale "un conto è provare che uno è mafioso" perché "l’appoggio esterno non dimostra niente, non dimostra che uno è mafioso". Ma all’appello nel coro del centrodestra manca la voce dei finiani che puntano sull’ennesimo distinguo, questa volta affidato al commento del pasdaran Fabio Granata. "Sentenza" chiara la sua: "Non è proprio il caso di festeggiare".

Non la pensa così la maggioranza del partito. Gaetano Quagliariello, vicepresidente dei senatori rifiuta "l’ipotesi di riscrivere la storia del paese sotto forma di romanzo criminale" stigmatizzando il fatto che "un procuratore generale abbia sollecitato una sentenza non per stabilire se una persona abbia violato o meno il codice penale in base a prove e riscontri, ma per riscrivere una pagina di storia del Paese e contribuire ad aprirne delle altre, in una democrazia matura dovrebbe essere visto come sintomo di una profonda patologia, e destare indignazione".

Per questo, aggiunge, "non possiamo assuefarci, altrimenti finiremmo col vivere in un Paese in cui la giustizia ha smarrito la sua ragion d’essere e si è fatta strumento improprio per perseguire finalita’ che non dovrebbero appartenere al suo orizzonte". Altrettanto netto il giudizio di Quagliariello sul piano politico quando ammonisce che il Pdl non consentirà che "in nome del popolo italiano la storia politica dei moderati e dei liberali che hanno fatto grande il Paese e l’hanno schierato dalla parte dell’Occidente e della libertà, venga riscritta sotto forma di ‘romanzo criminale’. Noi sappiamo da dove veniamo, conosciamo la storia, sappiamo bene quali fossero nei primi anni Novanta le forze destinate al potere e quanto impegno sia stato profuso per evitare all’Italia il giogo di quegli eredi di Robespierre e del muro di Berlino che ancora nell’autunno del ’93 dispiegavano nelle città d’Italia la loro potenza elettorale".

Ma nel giorno della sentenza, arrivata dopo ben 117 ore di camera di consiglio, le polemiche non si fermano qui. Un nuovo fronte nasce dal commento di Dell’Utri (nella conferenza stampa che segue il pronunciamento dei giudici di Appello considerato un verdetto "pilatesco") su Vittorio Mangano, lo stalliere di Arcore condannato per mafia e morto in carcere.

Il senatore azzurro lo ha definito "un furfante ma un eroe: in carcere, ammalato, più volte è stato invitato a parlare di me e Berlusconi, e si è rifiutato di farlo”. Se per il Pd Veltroni si tratta di parole "di intollerabile gravità” e l’Idv con Orlando attacca a testa bassa, è ancora Granata a ripetere che "l’unica valutazione politica che va fatta è che Mangano non è stato un eroe, ma un mafioso condannato".

Ennesima convergenza tra le opposizioni e la corrente del Pdl guidata dal presidente della Camera.