La sentenza di Cagliari apre la strada ai figli fatti su misura

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La sentenza di Cagliari apre la strada ai figli fatti su misura

La sentenza di Cagliari apre la strada ai figli fatti su misura

26 Settembre 2007

Non c’è pace per la legge 40,
che regola la procreazione medicalmente assistita in Italia: con una sentenza
sconcertante il Tribunale di Cagliari ha stabilito che una coppia di sardi può
effettuare la diagnosi preimpianto di un embrione crioconservato, in violazione
alla legge stessa.

In queste ore esultano tutti quelli
che non hanno mai accettato la sonora sconfitta di due anni fa, quando il 75%
degli aventi diritto al voto disertò il referendum sulla legge 40, rifiutando
le modifiche al testo di legge, ma soprattutto ritenendo che certi argomenti
non si potessero mettere ai voti.

Spesso sono gli stessi che
gridano “giù le mani dalla 194”,
in nome di quel consenso popolare espresso in un referendum, riconosciuto valido
per la regolamentazione dell’aborto, ma non per la legge 40.

Ma veniamo ai fatti: l’uomo e
la donna della vicenda sono portatori sani di talassemia, e non vogliono mettere
al mondo bambini malati. I giornali riferiscono che la donna aveva già abortito
due volte, quando le era stato diagnosticato che dalle gravidanze in corso sarebbero
nati figli talassemici; la signora quindi si è rivolta a un centro per la
fecondazione in vitro, con l’intenzione di  selezionare gli embrioni sani prima
dell’impianto in utero.

Ma la diagnosi preimpianto è vietata
dalla legge 40, e la signora si è rifiutata di farsi impiantare l’unico
embrione ottenuto, che è stato congelato. Dopo essere rivolti invano alla Corte
Costituzionale, che lo scorso anno ha rigettato il ricorso della coppia, i due
genitori hanno intrapreso una seconda azione legale, grazie alla quale si
dovrebbe poter effettuare la diagnosi sull’unico embrione ed eventualmente
accettarne l’impianto. La coppia nel frattempo si è recata in un centro a Istanbul
per sottoporsi di nuovo a fecondazione in vitro, stavolta insieme alla diagnosi
preimpianto – e fra un mese nascerà una bambina non affetta da talassemia. La
signora si è detta pronta a una seconda gravidanza, nell’eventualità che
l’embrione precedentemente congelato in Italia risultasse sano.

Il problema, però, non è solo
il divieto della diagnosi reimpianto. Secondo la stessa legge questa coppia
avrebbe potuto utilizzare tecniche di fecondazione in vitro solo in caso di
infertilità o sterilità: nel nostro paese queste tecniche sono riservate solamente
a chi non riesce a concepire per via naturale, cioè a coppie sterili e/o
infertili, e non a portatori sani di malattie genetiche.

La legge 40, in altre parole, cioè
serve per avere dei figli, non regola le modalità per scegliere quali figli
avere.

La legge regolarmente
approvata in parlamento, e confermata dalla volontà popolare, non permette in
alcun modo – nell’impianto, nel testo, e nelle sue linee guida – la selezione
genetica per scegliere il figlio migliore, perché nel nostro paese,  fortunatamente, non sono ammesse pratiche
eugenetiche.

E infatti la legge 40 è in
pieno accordo con la regolamentazione dell’aborto: nella 194 non esiste la
possibilità di abortire un feto disabile in quanto tale, ma solo se il suo
handicap dà problemi di salute alla madre. La legge sull’aborto – non ci
stancheremo mai di ripeterlo – non è eugenetica, non si pronuncia in base alla
“qualità del feto”, né tantomeno pretende di accampare un qualche “diritto al
figlio sano”.  Se l’applicazione della
legge ha derive eugenetiche, allora bisogna specificare che è questa prassi che
va corretta, mediante atti amministrativi come la formulazione di linee guida,
ad esempio.

La diagnosi preimpianto,
invece, non ha nulla a che fare con la salute della donna, ma introduce la possibilità
di scegliere il figlio in base al patrimonio genetico: tu sei sano, ti prendo,
tu sei malato, ti scarto.

E chi ammette questa
possibilità, fabbricare un certo numero di figli e sceglierne i migliori
eliminando quelli “difettati”, dovrebbe coerentemente assumersene la
responsabilità politica e morale, e proporre un testo di legge in cui, a chiare
lettere, si dica che si possono eliminare i disabili. Dovrebbe dire che di
disabili non ne devono nascere più, perché sono “unfit”, inadatti, come dicevano
gli eugenisti americani, tedeschi e svedesi quando – in mancanza di altro, e
nel migliore dei casi – li sterilizzavano in massa.

E poi dovrebbe convincere le
associazioni di disabili, e i genitori dei disabili, per esempio. E dovrebbe
convincere noi tutti.