La Serbia di oggi non è diversa da quella di Milosevic

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La Serbia di oggi non è diversa da quella di Milosevic

14 Dicembre 2007

La cautela con la quale i
ministri dell’Unione trattano Belgrado alla vigilia del lancio di una missione
Europea in Kosovo è giustificata e fa parte di una cultura diplomatica saggia.
Ma non a costo di perdere di vista la realtà. Una qualche forma di indipendenza
al Kosovo non la si può negare – così va il ragionamento – ma la Serbia non può
essere umiliata, deve essere compensata per la perdita. La proposta è: se
cedete il Kosovo noi vi accetteremo nel club europeo.

In teoria tutto bene, ma
con l’accelerarsi dell’iniziativa europea sulla questione dello status del
Kosovo, è importante che non sfugga all’attenzione che cosa sta veramente
accadendo in Serbia. Sulla Serbia reale, non immaginaria, si deve misurare la gestione
della transizione in Kosovo da un 
protettorato internazionale in stato chiaramente fallimentare a stato funzionante
sotto supervisione europea. I rischi per la sicurezza del Kosovo, della Bosnia
e dell’intera regione saranno seri se non si otterrà questo risultato in tempi
brevi,  ridimensionando le aspirazioni
nazionaliste della Serbia odierna.

Non è idealismo, ma
realismo politico, rendersi conto che la Serbia di oggi e quella di Milosevic
sono ugualmente lontane dall’Europa; che la legge internazionale per la Serbia
è come il menu di un ristorante, dal quale sceglie quello che le va bene,
ignorando il resto; e che per questo la politica degli incentivi non funziona affatto.
Ecco la risposta che è arrivata da Kostunica alla proposta europea. La si può
leggere sul sito
web
del governo: “Il nostro messaggio
all’Unione Europea è che bisogna rispettare la Serbia come ogni altro stato
sovrano e libero, e ciò significa che l’UE deve rispettare i confini
internazionalmente riconosciuti del nostro paese […] Noi ci aspettiamo che la
UE rispetti la posizione della Serbia che permetterà una missione dell’UE sul
suo territorio del Kosovo e Metohija solo dopo una nuova risoluzione del Consiglio
di Sicurezza, a conferma di una soluzione di compromesso  sullo status della provincia. L’arrivo
della  missione UE significherebbe
l’inizio dell’implementazione del Piano Ahtisaari che noi abbiamo già rifiutato
e l’inizio dell’implementazione dell’indipendenza unilaterale. Perciò la Serbia
rifiuta molto energicamente e in anticipo la decisione, che è illegale, di inviare
la missione UE in Kosovo”.

Dietro questa parole c’è
la decisione di non firmare l’Accordo di Stabilizzazione e Associazione, se
l’indipendenza del Kosovo sarà riconosciuta. James Lyon, analista
dell’International Crisis Group a Belgrado, interpreta questa posizione come
particolarmente destabilizzante per l’UE, che ha usato generosamente l’Accordo
come sostituto della  politica estera che le manca. Leon Kojen, ex
capo del team negoziatore sul Kosovo e uomo molto vicino a Kostunica, spiega
molto chiaramente la posizione di Belgrado in una recente intervista al
giornale Vecernje Novine: “La Serbia dovrebbe chiarire alla UE, attraverso una
risoluzione del Parlamento, che non può firmare un Accordo di Stabilizzazione e
Associazione fino a quando la UE non la smetterà di sostenere il Kosovo”.
Kostunica ha i voti necessari in Parlamento per passare una tale risoluzione,
contro il parere di Tadic.

Sempre secondo Lyon,
Kostunica e il Partito Democratico serbo non hanno mai preso sul serio la
proposta di accedere all’UE, ma hanno usato l’offerta di accesso solo per strappare
più concessioni sul Kosovo. Molto più vantaggiosa di quella europea pare invece
l’offerta della Russia, che intende costruire il tratto meridionale del suo
oleodotto attraverso la Serbia e modernizzarne la società petrolifera statale.
E non chiede nulla in cambio. Gazprom, tra l’altro, ha già annunciato di voler
privatizzare NIS, il monopolio petrolifero della Serbia e la stessa societa
attraverso la quale Milosevic fece affari con Saddam nel racket del programma
Oil for Food dell’ONU, scambiando fondi neri e armi.

%0D

Non c’è da sorprendersi
di questi sviluppi. Lunedì scorso, in occasione del giorno internazionale dei
diritti umani, un gruppo di organizzazioni non governative (Humanitarian Law
Center, Lawyers Committee for Human Rights, Youth Initiative for Human Rights,
Women in Black, Helsinki Committee for Human Rights in Serbia, Centre for
Cultural Decontamination, e l’Independent Journalists Association of Vojvodina)
ha pubblicato la seguente dichiarazione:
“In Serbia, la situazione dei diritti umani e della legge è peggiore nel 2007
che nel 2006. Un parte del governo è pericolosamente vicina a partiti politici
e gruppi estremisti nella sua esplicita ostilità nei confronti di giornalisti,
di attivisti nel campo dei diritti umani, e di quegli individui che chiedono al
governo l’assunzione di responsabilità per le violazioni dei diritti umani nel
passato, che si oppongono alla minaccia di guerra nel Kosovo e in Bosnia e
chiedono alla Serbia di accettare i valori europei e abbandonare l’eredità di
Milosevic. E’ ovvio che gli estremisti non sono solo nel Partito Radicale serbo.
Sono nel governo, nella polizia, nell’esercito, nei media, nel sistema
giudiziario, nell’amministrazione statale, e nella società stessa”.

Di retorica sul rispetto
della legge internazionale abbondano le dichiarazioni e i documenti del governo
Kostunica che affermano l’integrità della Serbia come stato che include il
Kosovo. Sul rispetto per il tribunale dell’Aja c’è invece il black out sul
piano delle dichiarazioni, in concreto un atteggiamento di sfida arrogante: “Tutti
sanno che Ratko Mladic non è stato arrestato perché quelli che dovrebbero
ordinare il suo arresto lo proteggono – dicono le organizzazioni dei diritti
umani -.  Radovan Karadzic è sotto la
protezione della Chiesa ortodossa e le élite politiche serbe considerano questo
fatto una questione di enorme interesse nazionale. Il fatto che siano stati
entrambi accusati di crimini orribili non dà fastidio a nessun politico serbo”.
La questione che vorremmo porre noi è: “Ma ai politici europei, dà fastidio?”. Sembra
di no. Altrimenti come fanno a corteggiare un paese dove il responsabile del
massacro di Srebrenica e l’architetto della pulizia etnica in Bosnia sono
considerati eroi nazionali?

L’estate scorsa Carla del
Ponte chiese alla comunità internazionale di rallentare il passo sul Kosovo
perché la Serbia aveva promesso che le avrebbe consegnato almeno Mladic. Così
fu fatto, ma Mladic è ancora libero e la del Ponte va in pensione avendo
completamente fallito la sua missione di procuratore internazionale. Il calcolo
del governo serbo è che tra due anni il tribunale chiuderà i battenti senza
arrestare o punire i peggiori criminali della guerra in Yugoslavia. La Russia,
altro grande campione della legge internazionale, ma solo quando concerne la sovranità
degli stati autoritari, ha già chiarito che non sosterrà un prolungamento del
suo mandato oltre il 2010.

Il Consiglio di Sicurezza
e le sue risoluzioni sono diventati la Bibbia della Serbia. Ma sia sotto
Milosevic che dopo, questo paese non ha mai rispettato la Risoluzione 1244 che
governa il Kosovo dal dopoguerra. Ha sempre fatto ostruzionismo alla missione
ONU e alle istituzioni di autonomia locale da essa create, quelle stesse che
ora professa di voler offrire al Kosovo. Ha mantenuto istituzioni parallele
ostacolando in ogni modo l’integrazione della minoranza serba. Ha promosso il
boicottaggio delle elezioni con promesse e minacce. E si comporta allo stesso
modo, mutatis mutandis, nella  Bosnia del
dopo-Dayton, dimostrando due cose: di non rispettare i trattati internazionali
sottoscritti e di non essere capace di prendere parte ad una confederazione con
chicchessia.

In questi ultimi giorni
si è già avuto un anticipo di cosa accadrà in Kosovo non solo quando la
leadership albanese dichiarerà l’indipendenza, ma anche prima, quando arriverà
la missione UE. Belgrado ha aperto un ufficio di rappresentanza nella parte
nord del Kosovo, dove l’ONU e le altre organizzazioni internazionali non sono mai
riuscite a stabilire una vera presenza, per provocare tensioni e bloccare
qualsiasi progresso. E residenti Serbi hanno dimostrato i propri sentimenti nei
confronti delle forze di sicurezza internazionali questa settimana, aggredendo
il comandante della missione NATO, come si vede nel filmato mandato in onda dalla
televisione pubblica del Kosovo). 
Nel 1992 la Bosnia dichiarò l’indipendenza e si trovò davanti lo stesso
ostruzionismo e le stesse provocazioni della Serbia. Se l’obiettivo dei
ministri europei è la stabilità della regione – e dell’Europa – è ora di
mettere fine a questo ciclo di violenze.