La Serbia fa un altro passo verso l’Europa ma la vuole davvero?

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La Serbia fa un altro passo verso l’Europa ma la vuole davvero?

28 Ottobre 2010

Il cammino della Serbia verso l’integrazione nell’Unione Europea è stato avviato. Lunedì i ministri degli Esteri dei 27 hanno scongelato la richiesta di adesione della Serbia che potrà ora essere esaminata con calma dalla Commissione. Questa decisione arriva dopo aver riconosciuto i meriti e gli sforzi che Belgrado ha dimostrato dopo la svolta politica filo-europea del 2008. Ma c’è una contropartita, che condiziona i passi che verranno del negoziato, alla valutazione "unanime" del Consiglio sulla piena cooperazione di Belgrado con il Tribunale penale internazionale (Tpi) perché si giunga all’arresto di Ratko Mladic e Goran Hadzic, i due criminali di guerra ancora latitanti. La domanda di adesione della Serbia, ferma dallo scorso dicembre, è stata sbloccata dall’atteggiamento costruttivo dimostrato dal governo serbo il mese scorso in occasione dell’elaborazione della risoluzione dell’Onu sul Kosovo, cosa che potrebbe ripetersi con questa nuova situazione.

Con la svolta decisa presa in sede Onu, la Serbia potrebbe ottenere lo status di Paese candidato già l’anno prossimo e aspirare a una piena adesione nel 2016. Ma va detto che non tutti i governi europei sono d’accordo. La Svezia preme per una maggiore elasticità, considerando importante premiare i progressi dimostrati dalla Serbia, e anche l’Italia è sulle stesse posizioni. L’Olanda, invece, ha assunto una posizione molto più rigida, minacciando un veto. Si è così giunti a un compromesso, che il ministro degli Esteri olandese Uri Rosenthal ha commentato: "A ogni tappa di avvicinamento all’Europa, la Serbia dovrà provare che coopera pienamente con il Tribunale dell’Aia". La questione dei criminali di Guerra, appunto. Nel testo di compromesso finale siglato dai 27 ministri degli Esteri si legge che "la piena cooperazione con il Tribunale Penale internazionale è una condizione essenziale per l’adesione all’Unione Europea" e che "la prova più convincente degli sforzi della Serbia e della cooperazione con il Tribunale" sarà appunto l’arresto di Mladic. Stiamo parlando del Generale Ratko Mladic il quale, dopo una veloce scalata della gerarchia militare durante le guerre in Jugoslavia, nel 1992 diventò Capo di Stato Maggiore dell’esercito serbo. Come si sa dalle cronache di quei 3 anni il generale Mladic e le sue truppe si macchiarono di molti crimini di guerra, stuprando migliaia di donne musulmane e creando dei campi di concentramento, soprattutto nella zona di Srebrenica, protetta dagli caschi blu Olandesi. L’8 novembre 1996, a guerra finita, Mladic lasciò il comando dell’esercito e da allora è sempre sfuggito al suo arresto, anche grazie a un’iniziale indulgenza del governo serbo.

A parte il passato recente qualcosa è cambiata dopo la svolta filo-europea del 2008. Ma c’è ancora molto da lavorare per democratizzare un paese ancora soffocato dal germe del nazionalismo. Basti pensare che solo 7 anni fa, dopo l’assassinio del premier democratico Zoran Djindjic (la tesi che immediatamente è stata data al pubblico riguarda il coinvolgimento della mafia, attraverso il ‘potente clan di Zemun’, nell’omicidio di Zoran Djindjic. Una tesi affrettata, sposata dalla maggior parte dei commentatori di tutto il mondo, ma che lascia qualche dubbio sull’intera vicenda. È opinione di chi scrive che l’omicidio Djindjic abbia un movente politico), che aveva deposto Milosevic, il macellaio dei Balcani, le cose avevano preso il verso sbagliato. In maniera particolare perché è nato il nuovo nazionalismo, da non confondere con il nazionalismo della retorica comunista di Milosevic. Il neo-nazionalismo serbo è basato sui valori tradizionali della chiesa ortodossa, i cui sacerdoti erano coinvolti nell’incitare l’odio dei serbi bosniaci verso la pulizia etnica. Il neo-nazionalismo propagato dal partito forte dei Radicali, una volta stretti alleati di Milosevic, patrocina l’orgoglio serbo contro le diversità etniche, sessuali e religiose. Come scrive anche la scrittrice e giornalista serba Jasmina Tesanivic è un paradosso che le battaglie del neo-nazionalismo serbo si svolgano in Kossovo. Anche quando picchiano i gay per le strade o i calciatori nello stadio puntano i serbi mostrano le tre dita urlando: il Kossovo è Serbia! Nessuno di questi giovani nazionalisti è mai stato in Kossovo, ma allora perché sono pronti ad ammazzare ed essere ammazzati per quella bandiera?