La “settimana corta” del Governo e quella dei sindacati

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La “settimana corta” del Governo e quella dei sindacati

29 Dicembre 2008

Se mai si aprirà, il confronto sulla "settimana corta" non sarà una passeggiata. Le posizioni del Governo non sono le stesse dei sindacati, quanto meno della Cgil.

Il ministro Sacconi lo ha riconosciuto indirettamente nelle più recenti interviste. Sinceramente preoccupato della possibile evoluzione della crisi e delle sue ripercussioni sull’occupazione, Sacconi sta facendo ogni sforzo per reperire un ammontare di risorse adeguato a fronteggiare la situazione attesa nei prossimi mesi. Per lui la proposta della settimana corta dovrebbe avere una precisa finalità: quella di responsabilizzare le parti sociali a cercare soluzioni a livello aziendale, attraverso nuovi regimi d’orario, senza precipitarsi subito – e senza esperire alcun tentativo in sede sindacale – a chiedere l’intervento dello Stato attraverso l’erogazione delle classiche prestazioni sociali a sostegno del reddito.

Non a caso Sacconi ha invitato le imprese a non abusare degli ammortizzatori sociali. Lo ha fatto "parlando a nuora perché suocera intenda" ovvero perché anche i sindacati comprendano che il conto dell’emergenza non potrà essere inviato al solito Pantalone. In sostanza, laddove si stipuleranno intese per lavorare quattro giorni alla settimana anche la retribuzione sarà ridotta proporzionalmente; e
non sarà automatica l’integrazione dello Stato. I sindacati, invece, pensano che si possa lavorare quattro giorni, ma a retribuzione piena, in quanto saranno gli ammortizzatori sociali a colmare la differenza.

A tale prassi si riferisce Guglielmo Epifani quando subordina la disponibilità della Cgil al fatto che non ci siano "furbizie". Del resto, il Governo non è in grado di trovare gli stanziamenti che sarebbero necessari per estendere gli ammortizzatori sociali alle categorie che oggi ne sono prive, compresi coloro che non hanno rapporti di lavoro stabili. Il ministro Sacconi intende convincere la Ue e le Regioni sulla possibilità di impegnare parte del Fondo sociale europeo per finanziare interventi a sostegno del reddito e dell’occupazione, purchè tali prestazioni abbiano anche un alto contenuto formativo e di ri-professionalizzazione.

Non è detto che tale operazione abbia successo. Anche se l’esito sarà favorevole in via di principio, non sarà agevole sicuramente darvi corretta e puntuale applicazione. Nell’immediato si porrà un problema di ripartizione di tali nuove risorse, in quanto c’è il rischio di trasferire al Nord (perché lì saranno il maggior numero di ore di cassa integrazione) risorse che, altrimenti, andrebbero in buona misura al Sud.

Ci saranno poi da superare le resistenze localistiche della Lega Nord che non vedrebbe di buon occhio l’istituzione di un fondo per l’occupazione, con forti contenuti di flessibilità, ma gestito a livello centrale. Comunque, sarà bene seguire lo svolgersi degli eventi, a partire dalla ripresa post-festiva, quando, nella Commissione Bilancio della Camera, comincerà ad entrare nel vivo la discussione e la conversione in legge del decreto n. 185 del 2008 (il c.d. decreto anticrisi).