La sfida del Pdl? Rileggere il passato con lo sguardo proiettato sul futuro

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La sfida del Pdl? Rileggere il passato con lo sguardo proiettato sul futuro

22 Ottobre 2010

C’era una volta la “Nuova Repubblica”. Suggestioni che ritornano, si dirà. E come potrebbe non accadere soprattutto nel corso di stagioni politicamente aride come questa in cui siamo immersi? Me ne sono ricordato, come quasi sempre accade, mettendo ordine sugli scaffali più alti della mia biblioteca (davvero babelica, ormai).

C’è chi getta via o, nella migliore delle ipotesi, offre ai rigattieri e agli antiquari libri di letteratura politica che non si dovrebbero leggere più. E c’è chi, come me, tende a preservare tutto: specialmente ciò che è demodé. Così mi sono imbattuto in alcune pubblicazioni di una trentina d’anni fa che parlavano di una “Nuova Repubblica”, la fortunata formula di un grande politico del passato, Randolfo Pacciardi, repubblicano, combattente antifascista, ministro della Difesa autorevole, suscitatore di grandi speranze in tempi in cui non se ne nutrivano tante sulla possibile riforma della nostra democrazia.

Quella sua intuizione venne ripresa da Giorgio Almirante, indimenticato leader del Msi, da Bettino Craxi, segretario del Psi, dagli inquieti democristiani di “destra” (da Bartolo Ciccardini a Mario Segni), ma anche dal “Gruppo di Milano” animato dal geniale politologo e costituzionalista Gianfranco Miglio. Uomini e storie che non avevamo molto in comune se non nell’ansia di dare uno spirito nuovo alla Costituzione repubblicana e, dunque, di rifondare lo Stato.

Ne riparlo oggi, non per fare dell’archeologia politica, né per rendere uno sterile omaggio a chi aveva previsto con grande anticipo la crisi istituzionale nella quale siamo impaniati da qualche decennio, ma perché un grande movimento neo-conservatore, di ispirazione nazionale e liberale, qual è l’attuale centrodestra, ed ancor di più quale potrebbe essere la sua punta di lancia politica, cioè il Pdl, dovrebbe riprendere quella suggestione che non a caso venne definita “gollista” per le indubbie ascendenze che evocava l’esperienza del Generale-presidente, e rilanciarla dal punto in cui la vecchia destra l’ha lasciata cadere. Presidenzialismo, separazione netta dei poteri, forte bipolarismo, sicurezza interna, occidentalismo che non ammette concessioni al multiculturalismo, difesa della sovranità dei popoli e della loro identità, neo-europeismo che si contrapponga al globalismo politico con un’accentuata presenza negli organismi comunitari delle ragioni degli Stati-nazione. Ecco il catalogo di allora, oggi ancora integro.

E’ possibile che intorno a queste idee, che dovrebbero inoltre nutrirsi di una contrapposizione netta, radicale al relativismo etico e culturale, si articoli il “nuovo” Pdl? E’ la speranza, forse l’ultima, che possiamo coltivare di questi tempi. Anche senza farci eccessive illusioni. Se non una. E cioè che venga abbandonata l’estetica del frazionismo fatto di cene, pranzi, cenacoli assortiti, guerricciole di potere che sottraggono linfa al progetto.

Ecco: il progetto, appunto. Può una forza politica immaginarsi perennemente in campagna elettorale e trascurare la necessaria formazione di un consenso fondato sui contenuti, le idee, le prospettive? La “Nuova Repubblica”, che non è un reperto – lo ripeto – rappresentò una formula unificante le più varie e diverse culture. I tempi non permettevano allora l’osmosi e l’interazione che oggi, invece, sono possibili. E così si lasciò cadere l’illusione (così fu etichettata) di mettere insieme i soggetti più dinamici e politicamente avanzati per riformare la Carta costituzionale e con essa la nostra democrazia.

Siamo in ritardo di trent’anni. Trent’anni affollati di bicamerali, tavoli di studiosi, inciuci, ma risultati concreti niente. Il Pdl ha l’occasione, al di là delle questioni strutturali ed organizzative in via sembra di soluzione, di riprendere una grande idea e rilanciarla per come i tempi richiedono.

Per farlo c’è bisogno di attivare una pubblica discussione, mettere da parte gli spauracchi elettorali, esorcizzare le idiosincrasie di questo e di quello, le gelosie legate alle appartenenze ed alle provenienze. E pensare, naturalmente, a come potrebbe essere il partito-coalizione nel 2013 se “rifondato” su contenuti che non appassiscono.

Questa, credo, dovrebbe essere la grande sfida capace di suscitare passioni sopite ed aggregare energie disperse. Al di fuori di questa prospettiva c’è il nulla. E credo che nessuno vi si voglia votare fosse pure per pigrizia mentale. Di certo, un “maldestro conservatore” non s’iscriverebbe mai al partito dell’irrilevanza. Diamine, un po’ d’ambizione…