La sfida per le democrazie del Ventunesimo secolo

Banner Occidentale
Banner Occidentale
Dona oggi

Fai una donazione!

Gli articoli dell’Occidentale sono liberi perché vogliamo che li leggano tante persone. Ma scriverli, verificarli e pubblicarli ha un costo. Se hai a cuore un’informazione approfondita e accurata puoi darci una mano facendo una libera donazione da sostenitore online. Più saranno le donazioni verso l’Occidentale, più reportage e commenti potremo pubblicare.

La sfida per le democrazie del Ventunesimo secolo

La sfida per le democrazie del Ventunesimo secolo

12 Marzo 2025

Ma Trump è un incidente della storia oppure il mallevadore di un nuovo ordine mondiale? Il tycoon ha vinto legittimamente le elezioni americane contro un partito democratico allo sbando. Ma questa interpretazione resta nel solco del politicismo se non si indaga in profondità il fascino e il consenso che un magnate tra i più ricchi del mondo suscita nelle classe più umili, tra gli sconfitti della globalizzazione, tra le minoranze ispaniche e afro-americane.

Un processo non inedito, già esplorato in Italia con il berlusconismo, e ora anche nelle principali democrazie europee nelle quali partiti di estrema destra insidiano la destra moderata. Accade in Francia, in Germania (con un partito di chiara origine nazi), in Spagna, Austria. Per non parlare della Ungheria di Orban.

Il mondo si inclina verso l’estrema destra poiché le democrazie liberali non sembrano in grado di rispondere a sfide inedite: il movimento di popoli che turbano vecchi equilibri psicologici, l’emergenza della sicurezza, la difesa del proprio patrimonio culturale e della propria identità. La sinistra non ha politiche credibili su questo terreno; l’estrema destra, invece, fornice risposte semplici a problemi complessi.

Trump rappresenta l’emblema del nuovo mondo: non ha timore ed esalta la propria forza, prende di mira la stampa e le università non allineate al nuovo corso, grida in faccia al leader ucraino (e di conseguenza all’Europa) che non ha “carte in mano”, attacca il politicamente corretto e la cosiddetta cultura woke, avversa il rispetto del cosiddetto Dei (diversity, equity, inclusion), cerca di imporre una pace sulle spalle degli ucraini. Sono le basi di una nuova egemonia culturale, che non ha bisogno di grandi ideologi di destra ma si fonda sul senso comune.

In sintesi: la democrazia tardo novecentesca, fondata sulla divisione dei poteri, sull’equilibrio e la coesistenza, tende ad evaporare lasciando il campo libero a demagoghi ed autocrati che appaiono più rassicuranti. Un fenomeno analizzato, tra gli altri, da Steve Levitsky e Daniel Ziblatt (“Come muoiono le democrazie”, Laterza) e da Anne Applebaum (“Il tramonto della democrazia – Il fallimento della politica e il fascino dell’autoritarismo”, Mondadori).

Le cancellerie europee, l’Unione, gli stessi opinion leader non nascondono la loro perplessità e preoccupazione nell’interpretare e comprendere la nuova versione del trumpismo. The Donald aveva già lasciato il segno nel precedente mandato. Solite esternazioni, attacchi e polemiche contro gli avversari, con toni che farebbero rabbrividire i talk già infuocati delle democrazie occidentali.

Ma in un poco più di un mese dall’insediamento, il triumvirato Trump-Musk-Vance ha posto le premesse per rivoltare l’ordine mondiale figlio del Novecento. Anzi, contrariamenti ai teorici del secolo breve o lungo, si potrebbe affermare che il trumpismo ha chiuso in maniera definitiva il Novecento, così come si era protratto nel nuovo Millennio.

L’ordine mondiale post-seconda guerra mondiale, con il dissolvimento dell’impero sovietico – seppure rendendo fantasmagorico lo scenario di “fine della storia”, prospettato dal politologo Fukuyama – aveva trovato un “equilibrio instabile” in cui le guerre guerreggiate conservavano un carattere locale.

Il putinismo ha ridato fiato alla vocazione imperiale della Russia pre e post-sovietica; gli Stati Uniti, ormai stanchi di assolvere al ruolo di gendarme del mondo libero, sia nella versione repubblicana ma anche in quella democratica, hanno lentamente preso le distanze, ponendo in cima alle priorità i propri interessi economici e strategici; allo stesso tempo l’Europa, incapace di diventare qualcosa di più di una sommatoria di Stati, limitandosi a legiferare sulla grandezza delle zucchine, si ritrova improvvisamente a prendere atto della sua “inconsistenza” a muoversi come soggetto attivo nel nuovo scenario. Fino alla proposta estrema della Von der Leyen di un riarmo dell’Europa a tempo di record.

Il quadro è cambiato: l’Occidente, come comunità di destino, condivisione dei valori di solidarietà, umanità, fratellanza, è in via dissoluzione; gli Stati Uniti del triumvirato Trump-Musk-Vance fa comprendere che non è più il tempo del chiacchiericcio, delle diplomazie disarmate, degli incontri inconcludenti, ma è quello dell’azione, dell’intervento, degli accordi anche con il peggior nemico.

Lo “sceriffo” è cambiato. Ciò che non hanno compreso il povero Zelensky, umiliato nel vertice farsa allo studio Ovale, e alcuni leader europei che si dividono in tifoserie pro o contro Trump. Infine, il ruolo crescente dell’Oriente, nella doppia versione russa e cinese che lanciano la loro sfida egemonica sul terreno militare (la Russia con l’invasione dell’Ucraina) ed economico (l’espansionismo cinese).

Una sfida, quindi, per le democrazie occidentali. E non solo per la sinistra ma anche per la destra moderata ed europea. Che ha contribuito a costruire l’Europa, a fare del moderatismo una cultura di governo. In questo la Meloni ha dinanzi a sé un compito gravoso: essere di destra, senza cedere ai deliri degli ultra da curva. Spesso è meglio prendere le distanze da coloro che solo in apparenza appaiono amici.