La sinistra di Blair è ancora quella della “Londra da bere”
02 Settembre 2010
Potreste criticare Tony Blair per la vita agiata da conferenziere che conduce da quando ha lasciato la politica inglese, oppure per l’attendismo con cui gestisce la complessa crisi mediorientale. Ma ascoltare l’ex premier quando ricorda il New Labour e i lunghi anni trascorsi al potere in Gran Bretagna fa capire perché la sinistra inglese è stata competitiva e vincente per così tanti anni prima dell’arrivo di Cameron. Leggere “Un viaggio”, il nuovo libro di Blair, è un buon viatico per le tristi e appannate classi dirigenti democrats del Vecchio Continente, sempre in affanno dietro a una destra che non cede il passo pur vivendo la fine di un lungo ciclo rivoluzionario.
I veri rivoluzionari della nostra epoca sono i riformisti di carisma, e Blair, con il suo sorriso sornione, ha saputo declinare con serietà entrambe le qualità. Il suo successore sconfitto, Gordon Brown, è apparso invece troppo ingessato, “un disastro” dal punto di vista catodico. Ma non di solo look si parla. Blair riuscì a vincere e a governare con una ricetta che è andata misteriosamente perduta nella storia della moderna sinistra europea, nonostante fosse un progetto tattico e strategico vincente. Rubare le parole d’ordine del movimento conservatore per riscriverle in uno spartito progressista. Obama, che ha preso un’altra strada, sta incontrando problemi molto più gravi.
Probabilmente ai “social conservative” si drizzerebbero i capelli davanti al Blair-pensiero su race & gender o sulla sessualità, ma prendete il discorso sulla sicurezza: “Ritengo che la cosa più orribile per la gente che vive in aree dove ci sono alti tassi di criminalità, vandalismo e comportamenti anti-sociali, sia sperimentare la natura distruttiva di questo tipo di cultura”, ha detto parlando del suo nuovo libro. “Law and order”, lo slogan che gli elettori amano sentirsi ripetere da 30 anni a questa parte e che probabilmente non è solo retorico populismo ma un bisogno concreto.
Blair capì che la rivoluzione conservatrice nasceva dal fatto che l’individuo era tornato al centro della scena sul palcoscenico che gli era stato rubato dall’invadenza dello Stato. Scelse la giusta miscela di Stato e libertà individuali ed è per questo che ancora oggi può difendere orgogliosamente i risultati ottenuti nella riforma del welfare, dell’assistenza sanitaria e dei servizi pubblici, questioni che insieme alle tasse e alla sicurezza determinano l’esito di una elezione. Lo Stato può aiutarmi ma alla fine sarò sempre io a decidere cosa fare, una visione che avrebbe potuto spazzare via il paternalismo tipico della sinistra europea anche se non è accaduto. La domanda che dovremmo sempre farci è “quanto procedono velocemente le riforme?". Una generazione di giovani europei è rimasta affascinata dalla "Londra da bere" degli anni Novanta, la metropoli dove la disoccupazione si combatteva con mille part-time e con il sussidio quando restavi a secco per un po’.
La chiarezza d’intenti di Blair è anche nella decisione di invadere l’Iraq al fianco degli Stati Uniti di George W. Bush. “L’11 Settembre ha modificato del tutto la mia visione delle cose e il calcolo dei rischi”, ricorda. Era la determinazione del cold-war liberal pronto a battersi contro il totalitarismo, senza guardare troppo ai sondaggi che andavano e vanno nelle direzione opposta. “La ragione di questo mio convincimento è che l’11 Settembre fu un evento scioccante in cui in un solo giorno avrebbero potuto morire anche 300.000 persone”, nessuna autocritica, solo qualche dubbio sulle armi di distruzione di massa. In questi otto anni di guerra Blair è rimasto l’unico a difendere George W. Bush e le ragioni progressive della brutta avventura in Iraq. I guru della sinistra la definirebbero una posizione stupida ma proprio chi si sente una spanna al di sopra della gente comune al momento del voto finisce una tacca sotto i suoi avversari. A Blair non è accaduto.