La sinistra ha processato tutto e tutti, compreso il Risorgimento

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La sinistra ha processato tutto e tutti, compreso il Risorgimento

03 Aprile 2011

In attesa che, auspici le celebrazioni per il centocinquantesimo anniversario dell’Unità italiana, venga finalmente ristampata la biografia di Cavour scritta da Rosario Romeo, per sapere qualcosa di più su di un argomento di grande attualità conviene leggere l’intervista che lo storico siciliano rilasciò alla rivista Mondoperaio nel marzo del 1985, all’indomani dell’uscita del terzo e ultimo volume della sua fatica cavouriana (R. Romeo, Cavour il suo e il nostro tempo, intervista a cura di G. Pescosolido, Firenze, Le Lettere, 2011, pp. 45, € 8,00).

Nell’introduzione premessa a questa ristampa, il curatore svolge un illuminante excursus sugli sviluppi della storiografia risorgimentale. Pescosolido ricorda che gli odierni "atteggiamenti antirisorgimentali e antiunitari di esponenti del mondo politico e giornalistico di matrice leghista, federalista, neoborbonica e neosanfedista, con pochi addentellati nel mondo della cultura storica più qualificata", affondano le loro radici ultime in una storiografia di orientamento marxista che nei decenni successivi alla seconda guerra mondiale tenne "un atteggiamento fortemente critico rispetto al Risorgimento e allo Stato unitario, sottoponendo entrambi, sulla scia delle opere di Antonio Gramsci e di Emilio Sereni, a un duro processo".

Certo, critiche ai limiti del Risorgimento erano venute anche da altre direzioni (le tesi di Gobetti, la diffidenza della cultura cattolica), "tuttavia l’attacco mosso dalla storiografia comunista nel secondo dopoguerra fu di una violenza e di una portata senza precedenti", perché non si soffermava solo sulla scarsa ariosità del sistema politico, ma metteva sotto accusa "anche il lento e squilibrato sviluppo capitalistico italiano, senza peraltro spiegare da dove nascesse il travolgente progresso degli anni del boom economico". Adesso, rileva Pescosolido, la storiografia di sinistra ha operato una palinodia e, in occasione di questo anniversario, esprime una complessiva adesione alla interpretazione data dalla storiografia liberale, per cui il Risorgimento viene accettato, "senza riserve di fondo, come grande fatto positivo nella storia della modernizzazione dell’Italia contemporanea". Un revirement che non va stigmatizzato negativamente ma va salutato come un salutare presa di coscienza, perché segno di una cultura storica più equanime e consapevole.

Tenendo a mente tali osservazioni, la lettura (o la rilettura) dell’intervista aiuta a chiarire in modo sintetico vari aspetti del processo risorgimentale. Anzitutto Romeo fa giustizia di un pericoloso luogo comune interpretativo. L’idea, cioè, che l’Inghilterra abbia favorito l’unificazione italiana. Romeo ricorda che, al di là della simpatia espressa per la causa italiana da alcuni settori dell’opinione, il governo britannico "non volle mai l’Unità d’Italia, perché temeva che si indebolisse in tal modo la posizione dell’Austria, sua maggiore alleata, anzi unica alleata che le fosse rimasta in Europa contro il pericolo di una rinnovata egemonia francese"; basti pensare che ancora durante l’estate del 1860 Lord Russell, ministro degli esteri inglese, "aveva preso in considerazione la possibilità di un intervento militare inglese in difesa dei residui possessi austriaci in Italia".

Molto si potrebbe spigolare da queste dense pagine, dall’attento giudizio sull’atteggiamento di Napoleone III e della Francia, alle osservazioni svolte su Mazzini e Garibaldi e il rispettivo atteggiamento nei confronti della politica del regno sardo. In questa occasione, però, vale soprattutto la pena di soffermarsi sul ruolo svolto da Cavour nei mesi decisivi che portarono alla creazione del nuovo stato. Romeo riconosce come, nella fase che va dall’annessione dell’Umbria e delle Marche fino all’ingresso del re a Napoli, "Cavour portò avanti da solo tutta la politica del governo", ma avverte anche che non bisogna ritenere lo statista piemontese come un demiurgo onnipotente. Il grande risultato conseguito in quell’occasione "fu sempre reso possibile, al di là dell’abilità personale di Cavour, dalla presenza di una pressione costante dal basso, esercitata dal movimento nazionale. Era, questa, una realtà incomprimibile, che dava a Cavour la possibilità di perseguire con successo operazioni con elevatissimi margini di rischio. Al di fuori di questo grande movimento di fondo, la sua capacità di manovra gli si sarebbe infranta fra le mani". Questo giudizio di Romeo merita di essere tenuto a mente, perché esprime in maniera sintetica una valutazione equilibrata del Risorgimento.

Questo non va inteso come un capolavoro di astuzia diplomatica, quintessenza del machiavellismo italico, ma va compreso come il compimento, certo non perfetto ma realizzato nei modi all’epoca realisticamente possibili, di un’aspirazione diffusa e sentita come importante dai settori civilmente più avvertiti della popolazione della penisola.