La sinistra paga il rovescio dell’egemonia (e Veltroni c’entra poco)

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La sinistra paga il rovescio dell’egemonia (e Veltroni c’entra poco)

16 Aprile 2008

L’articolo di Carlo Panella (Non perde solo Bertinotti: si è chiuso il secolo della sinistra) offre importanti spunti di riflessione. Tuttavia, esso finisce con il fare derivare da inoppugnabili considerazioni storiche e sociologiche conclusioni politiche che mi appaiono eccessivamente affrettate.

Senza dubbio è vero che la sinistra non solo ha perso buona parte del suo tradizionale radicamento sociale, ma risulta incapace di interpretare i mutamenti socio-economici intervenuti negli ultimi decenni. Qualche anno addietro è stato un sociologo inglese, oltre che un convinto militante laburista, come Colin Crouch, in un libro che ebbe una qualche risonanza (Postdemocrazia, Bari, Laterza, 2003), a denunciare come proprio le formazioni politiche di sinistra siano incapaci oramai di capire e di incanalare le rivendicazioni degli strati meno favoriti della popolazione. È il fenomeno delle sinistre aristocratiche, che in Italia ha proporzioni maggiori rispetto ad altri paesi europei per una sorta di astuta ironia della storia. L’egemonia culturale a lungo perseguita dai comunisti permane anche se non dispone più di un modello di riferimento. Così una vaga e snobistica idea egualitaria, un perbenismo progressista che risulta inevitabilmente peloso e supponente, pervade la mentalità corrente, informando i comportamenti irriflessi di ceti medio alti. Questo imprevisto rovescio dell’egemonia produce uno scollamento crescente con la società. Il ricasco politico immediato di una simile situazione è che la sinistra è sempre in ritardo in nel cogliere il cambiamento sociale. Tutto questo è vero. Inoltre, a sostegno della sua tesi Panella allinea parecchie osservazioni del tutto convincenti. Quello che non riusciamo a capire è l’equazione successiva.

Anzitutto, dare a Veltroni la responsabilità del fallimento della Sinistra arcobaleno ci pare del tutto improprio. Tra i componenti del cartello elettorale così miseramente naufragato c’erano importanti dirigenti dei vecchi Democratici di sinistra. Questi hanno rifiutato con sdegno l’ipotesi di confluire nel Partito democratico, reo forse di non essere massimalista a sufficienza. Ma anche i leader dei vari partiti e movimenti che hanno dato vita  all’Arcobaleno, da Rifondazione ai Comunisti italiani, ai Verdi, avrebbero potuto benissimo essere fra i soci fondatori del Partito democratico. Hanno scelto, invece, di costituire un raggruppamento elettorale in base a un calcolo politicista. Pensavano di poter raggranellare un numero di consensi tale da consentirgli, se non di competere, almeno di trattare con Veltroni da una posizione di forza. Come sappiamo le cose sono andate diversamente. Ma la ragione di questo non va ricercata in un presunto leninismo veltroniano, bensì nelle diverse condizioni politiche determinatesi negli ultimi mesi. Il fatto che si siano creati due partiti a vocazione maggioritaria ha modificato di colpo il modo di funzionamento del sistema politico. Da un sistema che premiava le minoranze rissose (in termini tecnici centrifugo) si è passati a un sistema orientato al governo (quindi centripeto). Pertanto, è bastato il richiamo al voto utile per prosciugare i consensi all’Arcobaleno. Da qui la nemesi. Per non aver colto questa novità i vari Bertinotti, Diliberto e Mussi, che pensavano di aver operato con saggio machiavellismo, si sono ritrovati, da buoni massimalisti, con un pugno di mosche in mano. Veltroni, invece, si è limitato a fare i suoi interessi.

D’altronde, e vengo qui al secondo punto, il fatto che, come ricorda Panella, ci sia un’area sociale pari al “4-8% del corpo elettorale” che non è rappresentata nelle istituzioni ovvero, per dirlo in termini più elementari, che non ha seggi in parlamento e non partecipa ai fringe benefits partitocratici connessi, non è certo un pericolo. Ritenere che ogni orientamento di opinione debba necessariamente trovare rappresentanza in parlamento significa applicare all’analisi socio-politica il manuale Cencelli. In tutte le democrazie funzionanti le soglie di accesso alla rappresentanza politica non sono mai basse e possono arrivare anche al 15 o 20 per cento (come in Inghilterra o in Spagna). Ma anche in Germania, che ha un sistema elettorale proporzionale (e non misto come si dice impropriamente), esiste una soglia di sbarramento al cinque per cento. Un parlamento privo di partitini estremisti e/o massimalisti non sarà più il teatro per futili messe in scena identitarie. Perciò funzionerà meglio, risultando più credibile nei confronti dell’opinione pubblica e maggiormente legittimato.

Certo, resta il problema del ritardo della sinistra di cui si diceva all’inizio. Ma la secca sconfitta subita, assommata all’esistenza di una democrazia tendenzialmente bipartitica, potrà aiutare anche le fasce più “arretrate” dell’elettorato di sinistra a un salutare bagno di realtà.