La sinistra sacrifica la sicurezza sull’altare del progressismo

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La sinistra sacrifica la sicurezza sull’altare del progressismo

La sinistra sacrifica la sicurezza sull’altare del progressismo

10 Novembre 2007

Slavoj Zizek, filosofo serbo diventato ormai di culto negli ambienti della sinistra antagonista europea (ad eccezione di quella italiana, che è in serie B anche fra i suoi simili), ha scritto in un articolo pubblicato sulla Repubblica che esiste un politically correct anche a sinistra, e che esso abbia un nome: paura. Crollate le ideologie, la politica si è ridotta a pura amministrazione e, in un condominio che voglia essere ben amministrato, gli zingari non possono entrare. Di essi si ha paura. Una paura quasi istituzionale, ancestrale, irriducibile a qualsivoglia schema psicosociale. Paura dell’Altro (con la maiuscola, scrive Zizek) in quanto tale. Questa paura, che genera insicurezza ontologica, radicale, determina gli assetti sociali e le politiche dei governi, impasta infine la vita quotidiana e soffoca ogni opposizione politica di sistema. Oggi tutti dicono, osserva Zizek: “E’ il nostro Paese, o lo ami o te ne vai”. Affondo decisivo: “Ciò che emerge sempre più come il diritto umano fondamentale nella società tardo-capitalistica è il diritto a non essere molestato, che è il diritto a rimanere a una distanza di sicurezza dagli altri”.

Questa tesi è la versione radicale ed estrema del pensiero di Barbara Spinelli, che potremmo definire neoborghese e neo progressista, secondo il quale esiste sì un problema di sicurezza, ma l’Altro, per riprendere Zizek, non deve mai essere oggetto di esclusione e/o di espulsione. Perché? Petizione di principio: semplicemente perché “non deve”, punto. Nessun argomento, né ideologico-culturale, né politico. L’utopia della sicurezza assoluta non esiste, argomenta la Spinelli, perché il mondo è aperto, la globalizzazione così decreta, dunque mettetevi il cuore in pace, che muoiano con la pace progressista nel cuore le donne e gli uomini che hanno la sventura di vivere accanto a colonie di emarginati e disperati violenti e senza pietà, tant’è, così va il mondo. Sempre nel miglior modo possibile, perché questo è il migliore dei mondi possibili. Pangloss docet. Ecco, Zizek radicalizza e, mettendo fuori gioco il mundialismo capitalista, di fatto giunge a conclusioni analoghe. Riduce dunque tutto il suo discorso al politically correct cosmopolitico-mondialista, il Regno dei Fini Ultimi, in cui non esistono più regole e doveri da osservare, ma il mondo va avanti da sé, la politica rimanendo ai margini, spettatrice disillusa. Sempre perché le stramaledette ideologie, le idee assassine del 900 secondo una nota interpretazione, sono cadute. Un universo umano e concettuale fatto di evidenze e trasparenze, senza dolore e contraddizione, il regno dei tecnocrati e dei cinici progressisti. Quel mondo in cui si può morire solo perché si cammina ai margini di una città di violenza.

Zizek e la Spinelli, opposti per contesto ideologico, la prima neoborghese e neo progressista, il secondo neomarxista e anti-capitalista, dicono la stessa cosa: la paura domina nel mondo e, con essa, l’uomo diventa homo sacer, nuda vita senza destino e senza orizzonte, carne da macellare. Ma la carne da macellare, per costoro, è quella degli Altri, gli Stranieri nel senso di Estranei, non quella dei cittadini e di chi, innocente, viene attaccato senza colpa. Due pesi e due misure in nome delle due ideologie residuali e pervasive: brutalizzo, il Pd veltronian-progressista che ciancia di sicurezza e svicola sugli strumenti, cioè chiacchiera e mostra distintivi improbabili, e la nuova Sinistra, che ha nel quotidiano di Rifondazione comunista, Liberazione, il luogo ideologico di riferimento. In mezzo, che non vuol dire nel centro, ma nel cuore della realtà, il nulla, non c’è più niente. Non esiste più la politica, che Zizek vorrebbe resuscitare senza la gloria del monopolio legittimo della forza a carico dello Stato (impossibile perché la politica esiste perché esiste lo Stato), e parimenti non esiste più la nazione, che la Spinelli vorrebbe derubricata ad orpello retorico e fascista, anti-globalism, un feticcio che non parla fluentemente inglese e non fa operazioni bancarie importanti, operazioni finanziarie di rilievo. Ergo, non c’è. Stringiamo.

Dopo l’età delle ideologie, abbiamo la retorica delle reazioni di segno opposto: il globalismo cosmopolita e l’anticapitalismo antagonistico. Per entrambi, la vita umana è funzionale ad un disegno che trascende l’uomo senza offrirgli uscite di sicurezza. E, per entrambi, questa “soluzione” sarebbe l’unico modo realistico per realizzare la Modernità. Anzi quel particolare timbro ideologico della modernità che si chiama Iper-modernità o Post-Modernità. Un luogo e un tempo, in cui, per salvarci da presunte ideologie, si deve, a quanto pare, morire per decreto ideologico.