La sinistra senza fede ignora la Jihad
22 Aprile 2016
Speriamo traducano, e che lo facciano presto, Un silence religieux di Jean Birnbaum, il responsabile del supplemento libri di “le Monde”. In una sua lunga intervista su Repubblica di venerdì, parlando del suo libro lo studioso francese spiega perché la sinistra non capisce l’islam: la rimozione totale della dimensione religiosa dal proprio orizzonte impedisce di capire il legame profondo fra i terroristi del Califfato e l’Islam. “La sinistra ha rinunciato a pensare la religione e la sua forza” perché “si è costruita nel solco della tradizione cartesiana, illuminista e marxista, inseguendo il fantasma dello sradicamento della religione”.
Intellettualmente onesto e poco propenso ad atteggiamenti di buonismo, Birnbaum riconosce che “i jihadisti non vogliono cambiare il mondo, vogliono distruggerlo”, ma al tempo stesso invita a riflettere sul fatto che i giovani che abbracciano la causa del Califfato all’inizio non sono mossi dall’odio. Lontanissimo dal politicamente corretto, il giornalista francese spiega che tirare in ballo emarginazione e povertà escludendo il fattore religioso serve solo a “ricondurre il problema alle nostre abitudini mentali”.
“I jihadisti vogliono farla finita con la storia, con la politica, e soprattutto con la vita. Da qui il desiderio e l’elogio della morte. Ma tutto ciò nasce da una speranza. La sola questione che conta è quella posta a suo tempo da Kant: che cosa ci è lecito sperare? La sinistra però non capisce più il bisogno di speranza dei giovani e non ha nulla da proporre loro. Di conseguenza, più la speranza radicale profana – quella della sinistra che vuole cambiare il mondo – diserta la realtà, più si afferma una speranza radicale religiosa, che poi produce le tragedie che abbiamo conosciuto”.
Una speranza radicale che sfocia in tragedia, insomma, perché nel porsi come alternativa totale a questo mondo, l’Islam si trova davanti il problema della violenza, e con il terrorismo percorre questa strada. Chissà se l’intellettuale francese ha letto il discorso di Benedetto a Regensburg, quello di Emanuele il Paleologo e del rapporto fra fede e ragione: troverebbe spunti interessanti per andare alla radice della violenza del Califfato. Ma le sue considerazioni sulla sinistra valgono in generale nei confronti di tutto il mainstream (che comunque da tanta sinistra nasce) che in questi anni di crescente diffusione del terrorismo si ostina a non capirne la natura.
Chi collega le radici della violenza del terrorismo esclusivamente a un disagio sociale – povertà, emarginazione, mancata integrazione – è perché, in ultima analisi, non riesce neppure a concepire un disagio che non sia esclusivamente legato a beni materiali. Come se il benessere economico e sociale possa essere di per sé un antidoto alla violenza; come se le guerre potessero essere scatenate esclusivamente da poveracci malmessi. Chi non comprende l’enorme bisogno di speranza e di significato per la propria vita, non potrà mai capire perché proprio il Belgio scristianizzato sia diventato il nido del terrorismo islamico in Europa, e non sarà in grado di cogliere il nesso fra il terrorismo islamico e la secolarizzazione profonda del nostro continente, vecchio, sterile, e non più cristiano.
Non c’è da inventarsi un alibi per non intervenire duramente contro il Califfato – i nazisti sono stati sconfitti da eserciti più forti, non certo da un lungo processo di rieducazione – ma di capire le radici del male, per poterle strappare dalla terra di cui si sta nutrendo.