La situazione dei conti pubblici non deve impedire la riforma fiscale

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La situazione dei conti pubblici non deve impedire la riforma fiscale

09 Giugno 2011

L’Italia deve essere pronta a intraprendere a breve nuove manovre correttive dei conti pubblici nel caso la situazione del deficit dovesse peggiorare e difficilmente potrà abbassare le tasse. Il monito è arrivato direttamente al governo dalla Commissione europea e difficilmente poteva esprimere un messaggio più chiaro: i conti pubblici sono stati gestiti accuratamente finora, ma non vi è spazio per politiche fiscali espansive.

La raccomandazione, nonostante fosse attesa, ha generato una certa apprensione al premier, che ha subito cercato di sondare il terreno per verificare la possibilità di effettuare la promessa riforma del fisco. Ma spazi d’azione, almeno per quanto riguarda il taglio delle tasse, sembrano essercene davvero pochi. La situazione dei conti pubblici e le regole europee non lo consentono di fare. A meno che ad un taglio delle tasse consegua un parallelo taglio di spesa pubblica di pari importo.

Ecco allora che una delle strade che presumibilmente percorrerà il Ministero dell’Economia sarà quella di una attenta attività di spending review, al fine di individuare in modo chirurgico i singoli capitoli di spesa corrente che si possono tagliare. Uno stile di politica fiscale tanto diverso rispetto alla filosofia dei tagli lineari adottata da Tremonti nel 2010 con il famoso d.lgs. n.78. I tagli potrebbero riguardare le spese per gli organi costituzionali, alcuni ministeri, mentre per la sanità potrebbero esserci tagli alla spesa corrente, per capirci quella legata ai medicinali e ai beni di consumo ospedalieri, aumentati ingiustificatamente negli ultimi anni e in maniera difforme da regione a regione. Buone notizie, da questo punto di vista, arrivano direttamente dal ministro Fazio, che in un convegno sul federalismo ha affermato che la spesa sanitaria potrebbe scendere, grazie ai piani di rientro in cui sono coinvolte numerose regioni, di circa 5-10 miliardi di euro nei prossimi anni, senza che la qualità del servizio venga ridotta.

Ad opinione di chi scrive, l’esistenza di questo clima economico particolarmente sfavorevole non dovrebbe comunque far recedere il premier dall’effettuare la riforma fiscale. Una riforma, si badi bene, che non significa una promessa incondizionata di tagliare le tasse. La credenza "riforma fiscale uguale a taglio delle tasse" è tanto miope quanto errata. Si tratta invece di modificare la struttura del sistema d’imposizione per ammodernarlo, renderlo semplice ed efficiente e rispondere così alle esigenze della struttura economica moderna. Le aliquote possono essere facilmente abbassate riducendo le famose tax expenditures, che da sole forniscono una perdita di gettito pari a 193 miliardi di euro, quasi pari al gettito Irpef complessivo. Gli scaglioni potrebbero essere ridotti a due o tre, con l’aliquota sul primo molto più bassa di quella attuale (23%). L’aliquota Ires potrebbe essere anch’essa abbassata tagliando le spese fiscali per le imprese. Un’ipotesi non impossibile anche nell’attuale scenario economico internazionale, se si pensa che Tim Pawlenty, candidato repubblicano alla presidenza degli Stati Uniti, ha di recente proposto un sistema a due aliquote (10% e 25%), con esenzione di dividendi, capital gains, successioni e interessi bancari e una riduzione della tassazione societaria dal 35% al 15%.

La semplificazione del sistema tributario porterebbe all’eliminazione di numerosa spesa pubblica legata alle attività di controllo fiscale, liberando risorse utili o da investire in spesa più produttiva oppure da utilizzare per tagliare il debito pubblico oppure, questa volta sì, le tasse. Infine, la presenza di aliquote più basse, è indiscutibilmente dimostrato dalla scienza economica, crea un incentivo ad aumentare l’offerta di lavoro e a ridurre l’evasione fiscale. Una riduzione d’evasione quindi che avverrebbe in maniera spontanea, per i positivi incentivi generati dal sistema e non nella maniera cruenta e oppressiva che stiamo osservando in questi mesi e che sta generando numerosi conflitti tra l’amministrazione fiscale e i contribuenti a corto di liquidità.