La solita Italia: armiamoci e partite
26 Novembre 2015
di Daniela Coli
Per il ministro degli esteri l’Italia combatte il terrorismo, ma non si sente in guerra, per il capo del governo francese, il socialista Valls, negare di essere in guerra è negare la realtà. A differenza della Francia, con truppe schierate in vari Paesi africani, dove dopo il 13 novembre Hollande ha parlato subito di guerra e vendetta, l’Italia per fragilità militare e cultura politica discetta con sociologi e psicologi di “musulmani che sbagliano”, organizza incontri tra iman, vescovi e rabbini, vuole vincere con la cultura, integrando gli immigrati emarginati: insomma, la politica della sinistra francese di trent’anni fa. La politica che ha perso venerdì 13 novembre, perché nessuno tra i terroristi francesi e i belgi era povero, analfabeta, senza famiglia.
Purtroppo, la guerra è arrivata in Europa. Finora era facile ignorare le centinaia di musulmani uccisi in attentati a Baghdad, Algeri, Damasco e Beirut, più difficile minimizzare il carnage parigino, i morti dell’hotel Radisson in Mali e quelli di Tunisi, vicini a noi, e con Sirte, a due passi dall’Italia, in mano a Is. Con gli Stati Uniti, irritati per i conti della Nato, decisi a lasciare gli europei a vedersela con la jihad, ci si illudeva, fino all’attacco a Parigi, che russi e iraniani ci avrebbero liberati dal Califfo. L’abbattimento del jet russo da parte della Turchia, un paese Nato, sembra avere complicato tutto; Obama ha difeso l’alleato, gli europei sono rimasti cauti: la Russia ha reagito con un pesante bombardamento vicino al sito dove è stato abbattuto il jet, la Germania ha dichiarato di stare con la Francia e di inviare 650 uomini in Mali. Non si sa se Hollande riuscirà a includere la Russia nella coalizione occidentale anti-Isis, ma alla fine dell’incontro con Obama ha chiesto la chiusura della frontiera tra Siria e Turchia e non ha annullato l’incontro con Putin.
Si sta combattendo una guerra inedita, con un Paese Nato, la Turchia, che sostiene Isis, di cui è stata vittima Parigi, e i turcomanni anti-Assad, che hanno sparato al pilota russo gridando “Allahu akbar!” È una guerra tra musulmani, tra sunniti e sciiti, anche se, oltre divisioni religiose, contano gli interessi regionali dei paesi arabi. Adesso sta diventando anche una nostra guerra. Non si sa ancora cosa farà il Regno Unito, Cameron deve attendere il voto del parlamento: c’è legame con gli Stati Uniti e anche quello con l’Arabia saudita, la patria di bin Laden, che ha sempre finanziato jihadisti, ma adesso è impegnata contro al Qaeda in Yemen, un vicino che non può perdere. Un po’ come nella tradizione, l’Italia rifiuta di parlare di guerra, mette in campo arte e cultura, e si affida al papa, come sempre nei momenti difficili, convinta che tutto si risolverà.