La sospensione del patto di stabilità: opportunità per una Europa sovrana o solita solfa europeista?
21 Marzo 2020
Per chi non è mai stato aprioristicamente euroscettico o un acritico ultrà dell’europeismo, l’annunciò fatto ieri dalla presidente della Commissione Europea Ursula von der Leyen di sospensione del Patto di Stabilità per affrontare l’emergenza coronavirus, non è soltanto un respiro di sollievo per le sorti del nostro paese in una fase così drammatica della sua storia, ma rappresenta anche la possibilità di un nuovo inizio per il progetto europeo e uno sprone a mettersi al lavoro.
Da troppi anni, infatti, l’Unione Europea sembra bloccata e avvitata su se stessa, incapace di superare tanto gli egoismi nazionali, quanto le assurde regole tecno-burocratiche di matrice neoliberista che ne hanno ostacolato le capacità di sviluppo economico, al punto da farla percepire in ampi settori dell’opinione pubblica come una esosa matrigna.
Le numerose emergenze susseguitesi dal 2010 in poi – prima quella dei debiti sovrani e dell’economia reale, poi la Grecia, infine l’ondata migratoria – sembravano confermare l’incapacità di ripensare l’Europa unita sulla base delle nuove sfide che la Storia ci sta ponendo dinanzi.
La crisi sanitaria prodotta dal diffondersi nel Vecchio Continente del famigerato virus Covid-2019 appare invece come l’occasione tanto attesa di scuotere finalmente dalle fondamenta questo immobilismo ed aprire la strada a scenari del tutto nuovi e potenzialmente positivi.
La pandemia da coronavirus sta impattando così fortemente non solo sul sistema sanitario italiano, ma soprattutto su quello economico a causa del blocco delle attività produttive e commerciali, al punto che mai come oggi il nostro paese assume i contorni di una potenziale bomba ad orologeria in grado di far saltare in aria la costruzione europea – ipotesi paventata in passato da numerosi analisti.
Stando alle apparentemente fino a ieri immodificabili regole europee, lo scenario più probabile sarebbe stato il seguente: manovra di emergenza del governo italiano da 25 miliardi con esplosione del nostro debito pubblico fino a un rapporto del 155% del Pil; inevitabile recessione di 3-4 punti del nostro Prodotto Interno Lordo al termine di quest’anno; declassamento dell’Italia da parte delle agenzie di rating e susseguente impossibilità per le banche (a cominciare da quelle italiane) di acquistare i nostri titoli di Stato. A quel punto il ricorso al famigerato MES da parte del nostro paese sarebbe divenuto inevitabile, con tutto ciò che questo avrebbe comportato in termini di perdita di autonomia finanziaria e condizioni di rientro dal prestito imposte. A quel punto la valutazione costi-benefici avrebbe concretamente potuto indurre l’Italia ad abbandonare la moneta unica, facendo venire giù tutto.
Lo scenario tratteggiato da Federico Fubini nel suo editoriale pubblicato ieri sul Corriere della Sera di un’Unione Europea spaccata in due con nazioni latine da una parte (Francia, Spagna e noi) impegnate a chiedere di sospendere il Patto di Stabilità e la Germania e i suoi alleati arroccati nella difesa di un’ormai insostenibile “Fortezza Europa” aggrappata alle sue regole di bilancio, ha reso bene la drammaticità di un confronto politico che sembra essersi finalmente risolto con ragionevolezza attraverso le parole della von der Leyen.
Forse qualcuno si è accorto che il tema vero non era tanto il possibile shopping francese o tedesco a prezzi stracciati dei gioielli di famiglia italiani, quanto quello dei cinesi non solo in Italia, ma in tutta Europa…
In ogni caso, sono almeno due le novità che potrebbero cambiare il volto dell’Unione Europea: non solo la sospensione del Patto di Stabilità, ma anche la decisione di sigillare le frontiere esterne dell’Unione rispetto alle ondate migratorie. Sono, dunque, due i capisaldi su cui si era fondata la narrazione di Bruxelles ad essere oggi messi in discussione: l’ordoliberismo e il globalismo.
Di fronte a un simile scenario non è possibile limitarsi al compiacimento per il sollievo che queste novità porteranno rispetto alle tragiche circostanze in cui ci troviamo. Va lanciata un’idea nuova di Europa.
Non è infatti sufficiente la sospensione del Patto. Esso va ridiscusso complessivamente e vanno rimesse sul tavolo antiche questioni finora eluse: la trasformazione della BCE in prestatore di ultima istanza, l’emissione degli Eurobond, l’armonizzazione dei sistemi fiscali, la riproposizione dell’antico modello sociale europeo con l’istituzione di una grande IRI continentale, magari con articolazioni locali, impegnata a investire in settori strategici quali infrastrutture, sanità, aerospazio, ma anche difesa, Intelligenza artificiale, 5G.
Tutto questo impone la definizione di un disegno politico più ampio, in cui l’Europa non sia più un’appendice del mercato globale, ma, al contrario, una vasta area semiautarchica in grado di acquisire un proprio ruolo geopolitico da protagonista nel nuovo mondo multipolare che va configurandosi.
Va, soprattutto, rivista l’impalcatura istituzionale dell’Europa secondo un modello in grado di superare tanto la cosiddetta “Europa delle Nazioni”, incarnata dalle conferenze intergovernative, quanto la spinelliana e tecnocratica utopia degli Stati Uniti d’Europa di matrice federalista, suggestiva, ma inapplicabile e lesiva della biodiversità politico-culturale dei popoli, che si esplica attraverso le direttive e la burocrazia europee.
L’obiettivo deve essere un’Europa sovrana. Sovrana perché davvero democratica e in grado di configurarsi come soggetto politico internazionale (uno Stato Imperiale multinazionale direbbero alcuni), magari strutturato sull’esempio svizzero. Sovrana perché capace di difendere le proprie frontiere, sia da invasioni migratorie, sia da minacce militari esterne. Sovrana perché in grado di gestire pienamente la propria politica monetaria, doganale e più in generale economica, anche imponendo dazi e chiusure ai prodotti di quei paesi che non rispettano i nostri standard di protezione sociale e di garanzie sanitarie.
Una simile Europa, però, non può essere semplicemente un’architettura istituzionale, fiscale, monetaria… Deve anche proporsi, per riscaldare gli animi, come grande visione per il futuro, come mito, volendo declinare questa parola nell’accezione che il numero di questo mese di Limes le dà, ovvero potente narrazione capace di produrre senso di appartenenza.
Non sono sufficienti, per questo, i programmi Erasmus e nemmeno le 27 stelle su sfondo azzurro. Non basta nemmeno il terrore di precipitare nuovamente nei conflitti del passato che hanno dilaniato il Vecchio Continente. E’ fondamentale, ora, riscoprire le radici identitarie che rendono i popoli europei portatori di un destino comune. A cominciare da quelle cristiane.
Se saremo in grado di mettere in campo una simile visione potente dell’Europa Unita, i sacrifici che dovranno sopportare i cittadini italiani ed europei a causa degli effetti dell’evento pandemico che stiamo vivendo, davvero non saranno stati vani.