La stampa attacca la manovra senza conoscerla. Gli speculatori ringraziano
20 Luglio 2011
Sulla manovra economica appena passata in Parlamento la stampa ha scritto di tutto e di più. Sicuramente la celerità con la quale il Governo ha dovuto lavorare per scrivere il testo del decreto legge non ha consentito una lettura approfondita da parte degli organi d’informazione, ma questo non può essere un buon motivo per giustificare le gravi inesattezze riportate da alcune testate nazionali. Con il risultato che il messaggio fatto passare è stato quello di un esecutivo che non sa che pesci pigliare, che modifica gli importi della finanziaria di giorno in giorno e che taglia con un colpo di spugna la spesa per il welfare, in primis le famose tax expenditures.
A riguardo dell’ultimo punto, il messaggio fatto passare è stato quello di un taglio di 20 miliardi di euro su spese fiscali ed assistenziali, di una rasoiata pari al 5% dell’ammontare totale delle stesse nel 2013 e del 20% per l’anno successivo. Qualche altro giornalista si è spinto addirittura più in là, facendo il calcolo di quanto verrebbe a costare l’impatto dei tagli su ogni famiglia italiana, a partire dal momento in cui la legge entra in vigore. Quale effetto può produrre nell’opinione pubblica un simile allarmismo? E’ sufficiente leggere i numerosi commenti dei lettori per capire come il messaggio recepito sia stato quello di una stangata immediata sulle spese famigliari essenziali, un manovra draconiana contro i poveri. E l’allarmismo dalle famiglie si è trasferito immediatamente ai mercati finanziari, dove nella giornata di lunedì la borsa di Milano è crollata del -3,06%, con lo spread tra il rendimento dei Btp e dei Bund tedeschi che ha toccato i 340 basis points, nuovo record, con effetti pesantissimi sul costo dell’emissione di nuovo debito pubblico, che si riflettono negativamente sugli interessi e quindi sul rapporto debito/Pil.
Dove sta la verità? Per poter comprendere meglio i reali obiettivi del governo su questa tipologia di spese riportiamo il testo della norma contenuta nel maxi-emendamento così come presentato dal Governo e approvato dalle Camere:
Articolo 40:
1-ter. I regimi di esenzione, esclusione e favore fiscale di cui all’allegato C-bis sono ridotti del 5 per cento per l’anno 2013 e del 20 per cento a decorrere dall’anno 2014. Per i casi in cui la disposizione del primo periodo del presente comma non sia suscettibile di diretta ed immediata applicazione, con uno o più decreti del Ministro dell’Economia e delle finanze, da emanare ai sensi dell’articolo 17 della legge 23 agosto 1988, n. 400, sono stabilite le modalità tecniche per l’attuazione del presente comma con riferimento ai singoli regimi interessati.
1-quater. La disposizione di cui al comma 1-ter non si applica qualora entro il 30 settembre 2013 siano adottati provvedimenti legislativi in materia fiscale ed assistenziale aventi ad oggetto il riordino della spesa in materia sociale, nonché la eliminazione o riduzione dei regimi di esenzione, esclusione e favore fiscale che si sovrappongono alle prestazioni assistenziali, tali da determinare effetti positivi, ai fini dell’indebitamento netto, non inferiori a 4.000 milioni di euro per l’anno 2013 ed a 20.000 milioni di euro annui a decorrere dall’anno 2014.
Il testo afferma quindi che il Governo avrà tempo fino al 30 settembre 2013 per provvedere ad avviare la tanto necessaria riforma fiscale e assistenziale e sfoltire la giungla delle oltre 400 spese fiscali, che erodono un gettito pari a 161 miliardi di euro, con positivi effetti sull’indebitamento netto. Un’opera di semplificazione necessaria quanto auspicabile, sostenuta da organismi internazionali quali l’OCSE, che vede queste forme di facilitazione come una riduzione della trasparenza dei bilanci statali e come escamotage per incrementare la spesa pubblica. Una operazione in senso liberista, poiché è giusto minimizzare i sussidi statali in maniera da lasciare in cambio più reddito al cittadino che in questo modo è libero di spenderlo come meglio crede.
Soltanto se la riforma non venisse fatta scatterebbe la famosa clausola di salvaguardia contenuta nell’1-ter, dove le spese verrebbero tagliate in modo lineare. Le clausole di salvaguardia, in senso tecnico, vengono inserite nelle normative di bilancio come estrema ratio per mantenere l’equilibrio di bilancio, ma non vi è ad oggi alcun motivo di pensare che sia questa la soluzione, dal momento che più volte il ministro Tremonti, spalleggiato dallo stesso premier, ha assicurato che la riforma fiscale e assistenziale è già in stato di elaborazione. Lo sfoltimento delle spese fiscali porterà vantaggi sia in termini di efficienza e di semplificazione della macchina amministrativa fiscale e burocratica, facendo risparmiare i tempi e i costi legati alla compliance tributaria. Principi semplici che ogni economista o giornalista di area economica dovrebbe sostenere.
E’ quindi opportuno che la stampa economica non sia troppo precipitosa nell’esprimere giudizi su norme di carattere altamente tecnico e i cui vantaggi devono essere valutati studiando gli effetti della legge nella loro globalità. Altrimenti, il rischio è quello di mandare messaggi sbagliati ai cittadini e ai mercati finanziari, con il rischio che vi sia da parte degli stessi un falso convincimento che la situazione è più negativa di quanto è, situazione che crea un terreno fertile per gli speculatori e per chi sfrutta l’ansia popolare per lucrare lauti guadagni.