La storia insegna che prenderemo Gheddafi
28 Agosto 2011
Passano i giorni e il mito dell’imprendibile Gheddafi si amplifica com’è successo con Ratko Mladic, Saddam Hussein e Osama Bin Laden. Le notizie su dove possa nascondersi corrono veloci quanto la Fama, ha dieci cento mille sosia, mentre i ribelli entrano a Tripoli lui è a passeggio in incognito nella capitale, è in Algeria, ha passato il confine in un lungo corteo di mercedes, no, è da qualche parte nel deserto libico, uno scatolone di sabbia grande quanto la Francia, anzi è senz’altro scappato in Niger dove alcuni clan locali sono pronti ad ospitarlo, macché, è nello Zimbabwe, gli oppositori di Mugabe giurano di averlo visto atterrare ad Harare con un jet messo a disposizione dal presidente.
Ma le autorità algerine smentiscono seccate, un ufficiale alla frontiera dice che se fosse passato un codazzo di auto blu qualcuno, in queste lande disabitate, se ne sarebbe accorto, la pista del Nigergate si è sgonfiata come al solito, nel deserto va bene, avrebbe delle chance, ma i SAS sono sulle sue tracce, per quanto sia facile confondersi tra le dune dietro a qualche miraggio c’è sempre l’incubo dei droni, che tutto dall’alto sorvegliano, e se nei giorni scorsi hanno freddato il nuovo "Numero 2" di Al Quaeda in Pakistan perché dovrebbero sorvolare il Rais risparmiandolo? Mugabe può ospitarlo, tra eroi dell’anticolonialismo c’è grande solidarietà, e anche il venezuelano Chavez gli darebbe volentieri una mano nonostante le reprimenda dell’ONU, ma “Loco” è troppo lontano, in un altro continente, mentre Mugabe è debole, si dice ammalato, e al massimo lo Zimbabwe sarebbe una tappa, non il traguardo.
A pensarci bene però c’è un elemento che unisce tutti i grandi fantasmi della nostra epoca: Mladic durante la sua latitanza lo avevano segnalato più volte nei villaggi dove si glorifica ancora la “Grande Serbia”, Saddam era sepolto vivo in una buca nei pressi del suo villaggio natale a Tikrit, Bin Laden viveva tranquillo in Pakistan a due passi da un’esclusiva accademia militare, e allora perché mai il Rais non dovrebbe essere a Tripoli nel suo bunker espugnato ma ancora non del tutto esplorato? Parliamo di una costruzione vastissima, decine di ettari, con tunnel e cunicoli costruiti in gran quantità nei lunghi decenni in cui il Colonnello si preparava alla resa dei conti.
Il Consiglio di Transizione fa quel che può, gli ha messo una taglia di un milione di dollari sulla testa, cerca di blandire i fedelissimi oppure li minaccia evocando processi sommari, ma in Libia si combatte ancora, Sirte resiste, e non sarà facile mantenere l’ordine nel Paese se Gheddafi tornasse a farsi sentire, come del resto sta già facendo, chiedendo al democratico Dennis Kucinich di fare un salto a Tripoli per fermare i bombardamenti della NATO (ipotesi scartata dal congressista americano perché a quanto pare laggiù la sicurezza scarseggia), piuttosto che mostrare una certa disponibilità a trattare con i ribelli nella formazione del nuovo governo.
Per cui è vero, come scrive il Telegraph, che più tempo passa più si alimenta la leggenda del fuggiasco, che se riuscirà a trovare un posto sicuro e lontano dal campo di battaglia sarà più difficile prenderlo, che viaggia spostandosi con poche guardie del corpo fidate e senza fiatare al cellulare, sicuramente ha con sé il denaro necessario per comprare il silenzio di quelli che se non sono amici potrebbero facilmente diventare suoi complici… se non fosse che poi la storia recente ci insegna che con personaggi del genere le cose finiscono diversamente.
Mladic è stato arrestato e adesso è sotto processo all’Aia, Saddam l’hanno tirato fuori da quel buco con la barba lunga, impiccandolo, Bin Laden è stato centrato da una sventagliata di proiettili nella sua camera da letto e subito dopo gettato in mare. Il boia di Sebrenica, il ditattore dell’Iraq, il capo di Al Qaeda, erano tutti personaggi estremi con cui non si poteva più avere niente a che fare, se non toglierli di mezzo, rispettando il diritto internazionale o andando oltre la legge, in quel territorio dove i confini tra giusto e sbagliato sbiadiscono e neppure per uomini rotti ad ogni malvagità c’è più la certezza dell’impunità. Gheddafi non è mai stato alieno a stravaganti forme di dialogo con i suoi nemici, per cui adesso sta lui recitare fino in fondo la parte del fantasma che non si arrende e muore non si sa bene in nome di quale causa superiore oppure contrattare sottobanco la salvezza, un processo, finché può. Se non per lui, almeno per i suoi figli.