La strana alleanza dei “colti”  e dei “comici” contro il Cav.

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La strana alleanza dei “colti” e dei “comici” contro il Cav.

18 Luglio 2008

Gli storici ricordano spesso la delegittimazione costante che  il sistema politico italiano ha subito da parte  dell’intellighenzia già all’indomani del processo di unificazione. Lo Statuto albertino, il Parlamento, la competizione dei partiti sono sempre apparsi come mere ‘sovrastrutture’, specchietti per le allodole  volti a dare dignità a una classe politica sostanzialmente corrotta e incompetente. Purtroppo la storia si ripete puntualmente ogni volta che va al governo una coalizione che non incontra il favore della ‘classe dei colti’.

In questi momenti, scatta l’SOS dei custodi dei ‘valori alti’ con la denuncia—cito dall’Appello di Umberto Eco del 2006—della <fatale involuzione della nostra democrazia>, dello <scempio che si è fatto delle leggi, della divisione dei poteri, del senso stesso dello Stato>, di un’Italia che sarà <per cinque anni territorio di rapina da parte di difensori dei loro interessi privati>. I sentimenti, come i ‘gusti’, non si discutono ma si registrano. E tuttavia da chi ha scelto <la scienza come professione> si pretende, per lo meno, la conservazione della memoria storica. Quando si leggono le stanche litanie del <mai, prima d’ora…>, si dimentica che, in tutta la Prima Repubblica, gli studiosi e i comuni cittadini che s’interessavano alle vicende politiche del paese erano sconcertati dal fatto che ogni crisi di governo minacciava di diventare una crisi di regime. Chi ha superato il mezzo secolo di vita ricorda bene una delegittimazione del partito di maggioranza che spesso e volentieri investiva la rispettabilità personale di ministri e deputati democristiani. Dai ‘forchettoni’ delle campagne elettorali degli anni cinquanta si passava ai ‘capracottari’ al tempo del delitto Montesi, quando una figura di grande prestigio come Attilio Piccioni venne costretto a dimettersi per l’implicazione, mai dimostrata, del figlio in uno scandalo presentato, chissà perché, <di regime>.

 Ci sono però tre differenze non da poco tra le due delegittimazioni, quella antidemocristiana della Prima Repubblica e quella antiberlusconiana della Seconda. La prima è ‘ideologica’: ad ispirare la delegittimazione postbellica era un partito (e, per alcuni anni,i due partiti del ‘fronte popolare’) paralizzato dal fattore K ovvero da valori e concezioni del mondo incompatibili con la cultura politica richiesta, in una democrazia liberale, a tutti gli attori politici, di destra e di sinistra. La seconda differenza è ‘sociologica’: fino agli anni ottanta, il partito d’opposizione poteva contare sui compatti battaglioni sindacali, su una classe operaia forte e diffusa sul territorio, su una rete di pubblicisti e di docenti universitari formatisi sui testi sacri del gramscismo e del marxleninismo. La terza differenza riguarda i ‘costumi’: come hanno fatto rilevare Ernesto Galli della Loggia ed altri storici delle ‘mentalità’, nell’Italia di Peppone e di don Camillo, vi erano ‘valori’ di fondo (un ‘basso continuo’, per dirla con gli antropologi) comuni alle due ‘chiese’ in competizione, la laica (comunista) e la cattolica (democristiana). Un vecchio militante comunista del quartiere operaio di Sestri Ponente, un aficionado del mio corso di ‘Storia del pensiero politico’, mi ha riferito recentemente un episodio degli anni sessanta al quale aveva assistito  nella sua sezione. Un compagno ‘della base’, intervenuto in un dibattito per criticare un dirigente genovese, fu messo a tacere con le parole:<Che comunista sei tu che, lo sappiamo tutti, tradisci tua moglie!>.

 Sembrano cronache di un altro pianeta. Oggi, tutto è cambiato. Sul piano ideologico, la sinistra—a parte le frange nostalgiche e guevariste– non è più alternativa al ‘sistema’: stando agli scritti e alle dichiarazioni dei suoi leader e dei suoi maitres-à-penser, la sua nuova bandiera è la difesa della modernità laica, illuminista e liberale. Ormai i suoi convegni di studio potrebbero essere dedicati a Raymond Aron o ad Alexis de Tocqueville (più citato di Marx!) e il suo stesso  ‘antifascismo’ è indistinguibile dalla   fedeltà alla Costituzione repubblicana, letta in chiave ‘liberal’ ( quasi che ad averla ispirata siano stati Kennedy  e Clinton). Sul piano sociologico, il ridimensionamento elettorale della classe operaia è stato compensato dai reggimenti borghesi di varia provenienza—si va dagli alti funzionari statali agli imprenditori, dai banchieri alle vecchie famiglie dell’industria italiana—che hanno visto nel partito egemone della sinistra un referente affidabile e un sicuro protettore dei loro interessi e valori. Il fatto che questori, prefetti, procuratori della Repubblica, un tempo ciechi esecutori delle direttive dei governi, oggi possano criticare leggi e decreti non è segno di un ritrovato (o finalmente acquisito) ‘senso delle istituzioni’ ma di un vero e proprio ‘passaggio di campo’ che andrebbe spiegato senza nulla concedere ai facili moralismi della stampa berlusconiana (‘Il Giornale’ in primis). Analogamente, il fatto che dirigenti pidiessini e sindacalisti siano di casa nelle stanze della Confindustria e degli istituti bancari configura scenari politici così profondamente mutati da richiedere non ‘una pausa di riflessione’ ma un’aratura polititologica e sociologica del campo che ancora non s’intravvede. Sul piano dei costumi, infine, si è realizzato quanto temeva il compianto Augusto Del Noce: il processo di secolarizzazione, da noi, ha assunto forme nichilistiche che hanno dissolto tutte le vecchie morali (dalla cattolica alla positivistica), facendo del laicismo e della contestazione di ogni principio di ordine (autonomo ed eteronomo) il luogo d’incontro di tutti gli ‘irregolari’,  devianti,  diversi, nuova ‘superclasse’ politica di cui la nuova sinistra si è fatta la rappresentante.(Sarebbe da approfondire il nesso tra ‘Cicciolina’, simbolo provocatorio delle minoranze radicali borghesi di una volta e ‘Vladimir Luxuria’, simbolo di una trasgressione ricomparsa a sinistra..).

 Queste trasformazioni sarebbero ‘fisiologiche’ in un paese normale: in fondo, dappertutto nell’area euro-atlantica destra e sinistra  rappresentano i due volti di una società definitivamente ‘imborghesita’ e caratterizzata da ‘modelli di vita’ ampiamenti condivise ma perseguibili con diverse strategie A distinguere radicalmente l’Italia dagli altri paesi occidentali, invece, è la persistenza della delegittimazione di una parte dell’arena politica nei confronti dell’altra in una stagione in cui gli attori politici e sociali che contano hanno la stessa provenienza sociale e culturale. Tra gli spettacoli inediti offerti al mondo dal nostro paese questo è secondo, in termini di novitas, solo al fascismo.

A credere agli intellettuali (più o meno organici) del ‘blocco sociale’ sconfitto  nelle ultime elezioni, l’Italia è sull’orlo di un vulcano. Come scrive Giovanni Sartori, lo studioso liberale che, tanti anni fa, lasciò l’Italia per paura dei ‘rossi’, nell’editoriale del ‘Corriere della Sera’ del 5 luglio u.s., Gli onorevoli in soggezione:<Siamo al sultanato, alla peggiore delle corti. Cavour diceva: meglio una Camera che un’anticamera. Ma quando un’anticamera si sovrappone alla Camera, non so più cosa sia peggio>. Altro che la pubblicistica dei ‘moribondi di Montecitorio’, ai quali indulgevano l’Italia umbertina e quella giolittiana: qui siamo alla squalifica  totale dell’organo più alto in cui si esprime la sovranità popolare! L’autore di queste espressioni così irresponsabili non può ignorare che a prenderle seriamente se ne dovrebbe dedurre che la legittimità democratica dalle Camere è passata alla Piazza. Chi semina vento raccoglie tempesta. Non ci si stupisce, pertanto, nel leggere ,nell’articolo di Oliviero Beha pubblicato sull’Unità il 13 luglio u.s., Dalla parte della Piazza:< Chiunque attenti alla Costituzione, dal primo (cittadino) all’ultimo (cittadino), deve sapere che non lo farà con il consenso più o meno tacito e più o meno elettorale degli italiani. Giusta la piazza, allora, e meno male che era piena>. Con la conclusione inevitabile : <se il Paese fosse ridotto come infatti è, e quindi bisognoso di svegliare le coscienze, e ci fosse stato sul palco qualcuno di caratura superiore, forse non saremmo ridotti come siamo, a dibattere intorno a un cratere. Abbiamo insomma un palco ’logico’ proporzionato al Paese in avviata decadenza. Vi aspettavate il Che? Ma via…>. C’è da rimanere sgomenti e non tanto per  la difesa d’ufficio di discorsi pieni di ‘sbavature’—per citare l’ineffabile commento di Di Pietro agli interventi di Sabina Guzzanti e di Beppe Grillo—quanto per la riaffermazione di un principio che era il cuore dell’ideologia fascista: quando il Parlamento diventa un’<aula sorda e grigia> asservita al padrone di turno, al popolo sovrano non resta che scendere in piazza! Ad Oliviero Beha e a Paolo Flores d’Arcais, probabilmente sorride il giorno in cui –‘sfasciato il Cavaliere   non dai manganelli delle camice nere ma dalle sentenze dei giudici—potranno ascendere al Colle e portare a un tetro Presidente della Repubblica <l’Italia di Piazza Navona redenta dalle nostre vittorie>.

 Ma c’è un altro aspetto, negli ‘ultimi casi d’Italia’, che non finisce di stupire ed è il credito che giuristi, filosofi del diritto, letterati, artisti danno, de facto, a politici come Antonio Di Pietro e a comici bolliti (come comici, s’intende) tipo Beppe Grillo:è come se, dialetticamente, il maximum di raffinatezza e di snobismo intellettuale si rovesciasse in ammirazione incondizionata della  cafonaggine e del demagogismo urlato. Non che manchi una divisione delle parti in commedia.

 Quanto dicono i comici e il loro molisano referente parlamentare viene, infatti, ritrascritto  da clercs come Eugenio Scalfari in termini dotti e colti. Stiamo assistendo, scrive il fondatore di Repubblica, nell’articolo del 13 luglio u. s., Un disegno perverso autoritario e populista, a un <mutamento profondo  ed estremamente pericoloso della Costituzione materiale della Repubblica, che avvia la democrazia italiana verso forme autoritarie, affievolisce l’indipendenza e lo spazio operativo dei contropoteri, mette in gioco gli istituti di garanzia a cominciare da quello essenziale della Presidenza della Repubblica>. E’ il pensiero dei <cento maggiori costituzionalisti italiani> che secondo Paolo Flores d’Arcais, avrebbero <dimostrato oltre ogni ragionevole dubbio il carattere anticostituzionale del ‘lodo Alfano’>.—si tratta, in realtà, di una esigua minoranza dei costituzionalisti ma per il direttore di ‘Micromega’, elitista doc, è la qualità che conta, non le masse gregarie. Tornando a Scalfari, la vis polemica è così cieca da non accorgersi neppure delle contraddizioni in cui cade. Come esempio di uno Stato di diritto, cita  gli Stati Uniti dove la separazione bilanciata dei poteri e contropoteri sarebbe garantita proprio da quanto la cultura politica di ‘Repubblica’ teme come la peste: <l’autonomia degli Stati che delimita territorialmente la competenza federale> (ma la Lega non è il nemico che minaccia di fare a pezzi l’unità italiana?); il Congresso composto di rappresentanti che hanno un legame diretto con i cittadini, grazie a <partiti liquidi che hanno piuttosto le sembianze di comitati elettorali finalizzati dalla selezione dei candidati piuttosto che alla custodia di ideologie e discipline partitocratriche> (ma la liquidità di ‘Forza Italia’ non era un segno di degenerazione?); <la Suprema Corte che agisce sulla base dei ricorsi intervenendo sulla giurisdizione e sulla costituzionalità> (ma la filosofia del sistema giudiziario americano non è sempre stata l’esempio di una concezione conservatrice del diritto contrapposta  alla ben superiore concezione evolutiva del diritto?); <la libera stampa, nella quale nessun altro potere ha mai chiesto restrizioni e vincoli speciali a tutela di istituzioni e di pubbliche personalità> (ma in Italia il reclutamento di giornalisti e di conduttori televisivi avviene in base a criteri di professionalità o di schieramento politico?).

 Scambiarsi critiche e insulti anche pesanti è normale in una democrazia che si rispetti e i governi Berlusconi non ne sono immuni—ne critica le ‘cattive leggi’ , con grande senso di responsabilità, Antonio Polito sul ‘Riformista’. Quello che resta da spiegare, invece, è perché ogni legge ritenuta cattiva  diventi un attentato contro la Costituzione, un vulnus contro la democrazia, un pericolo mortale al quale poi stranamente non si reagisce, come si dovrebbe  se le parole conservassero un senso, tornando sui monti o con la ‘disobbedienza civile’ ma con avanspettacoli mortificanti ..in attesa del lavoro delle procure..