La strana idea di democrazia che hanno quelli di Repubblica
10 Novembre 2008
Strana l’idea di democrazia governante che hanno a Repubblica. Oggi Massimo Giannini, che dirige l’inserto economico del lunedì Affari&Finanza, invita il ministro dell’economia Giulio Tremonti a una sorta di ‘pronunciamento’ nei confronti del premier. Dopo aver premesso di aver molto apprezzato “la precisione chirurgica” della diagnosi contenuta nel famoso libro di Tremonti “La paura e la speranza”, Giannini si chiede perché, visto che Tremonti sa la verità sulla crisi economica, non la dice. E non la dice perché non può. E perché non può? Naturalmente perché gli è vietato da Berlusconi “che preferisce raccontare le solite favole”. “Esca allo scoperto dunque il ministro”, e “rompa questo malefico incantesimo”. Questa l’intimazione del quotidiano di Largo Fochetti per la penna di uno dei suoi vicedirettori.
E’ una idea molto italiana quella di chiedere al braccio destro di un primo ministro di rompere con la linea politica da questi seguita. Di solito i giornali d’opposizione si rivolgono giustappunto all’opposizione se e quando ritengono che il governo sia in errore. Abbiamo mai visto, vorremmo chiedere al più cosmopolita dei nostri quotidiani, il New York Times, chiedere al Segretario di Stato, mettiamo Colin Powell, di rinnegare il rapporto di fiducia col Presidente, magari sulla questione delle armi di distruzione di massa? O il Guardian rivolgersi, all’epoca, a Gordon Brown, perché si dissociasse dalle linee di politica economica di Tony Blair? No, altrove non succede, perché si ritiene che il gioco politico abbia delle regole valide per tutte, e che la presa di distanza di un ministro, sempre legittima e possibile, debba essere comunque preceduta dalle dimissioni.
Quanto poi agli apprezzamenti, Tremonti farebbe bene a guardarsene. Non solo perché solo qualche mese fa Giannini attaccava duramente il ministro per il suo silenzio sui temi spinosi come Alitalia, e per aver acconsentito all’abrogazione dell’Ici, e per aver lasciato cadere la promessa di abolire le province… Ma anche perché le conseguenze che il brillante editorialista della Repubblica ha tratto in passato dal libro di Tremonti sembrano aver poco risentito della precisione chirurgica oggi evocata.
Ad esempio nel maggio scorso, Giannini scriveva di Tremonti che non si può praticare il colbertismo sull’Alitalia e al tempo stesso professare il determinismo sull’inflazione, restando inerti di fronte al “micidiale combinato disposto dei salari in caduta libera e dei prezzi in aumento esponenziale”, davanti alle impennate del prezzo del petrolio “che rischia di toccare quota 200”, o alle rivolte per la farina in Egitto, per i riso in Cina, per il carburante in Francia. E a luglio sempre Giannini sosteneva la richiesta “tendenzialmente protezionista” di Tremonti di applicare anche alle società extraeuropee l’articolo 81 del trattato di Roma contro la manipolazione del mercato da parte delle imprese che avessero lo scopo di creare situazioni di monopolio o comunque di restringere la concorrenza nell’ambito del mercato comune europeo. Sullo sfondo di queste analisi c’erano ancora le minacce portate dalla globalizzazione del commercio e dalla crescita industriale di India e Cina, oppure i rastrellamenti di quote azionare da parte dei fondi sovrani di varia matrice.
Le cose oggi si vedono da una prospettiva assai diversa: non è la crescita industriale asiatica ad aver provocato la tempesta perfetta che ha travolto il sistema bancario e minaccia quello industriale occidentale, ma al contrario è la sregolatezza dei mercati finanziari occidentali che rischia di interrompere o di rallentare pesantemente i progressi dell’economia reale asiatica.
Non saranno questi abbagli la riprova che piaggeria e intimazioni sono figlie della stessa pertinacia che da quindici anni a questa parte spinge Repubblica a sperare che la crisi del berlusconismo maturi dal suo interno? Come del colbertismo di Tremonti scrisse a suo tempo lo stesso Giannini. “vaste programme”, in effetti.