La strategia di Obama in Afghanistan forse la scopriremo a West Point
30 Novembre 2009
Può sembrare strano, ma in questi ultimi giorni di novembre 2009, vale a dire a otto anni dall’inizio del conflitto, il fronte più caldo della guerra in Afghanistan sembra essersi spostato a Washington. Barack Obama è costretto a fare i conti con un rapporto "choc" presentato al Senato dalla Commissione per gli Affari Internazionali, che con i crescenti dissapori tra Robert Gates, capo del Pentagono, e Stanley McChristal, responsabile militare per gli USA e la NATO sul territorio afgano.
In entrambi i casi, ad essere protagonista è la guerra ai talebani. Ed è bene sottolineare che tra poche ore (con ogni probabilità alle 20 di martedì sera, ora di Washington), Obama annuncerà la nuova strategia militare degli USA in Afghanistan, che dovrebbe prevedere l’invio di altri 30-40mila soldati americani, ai quali si aggiungerà la richiesta di nuovi rinforzi agli alleati europei. Facile intuire che saranno ore piene di tensione per il presidente e per tutto il suo entourage.
Il principale relatore del rapporto commissionato dal Senato è l’ex candidato democratico alla presidenza John Kerry. Si parla di Tora Bora e di come l’amministrazione Bush avrebbe fallito nella cattura di Bin Laden. Secondo la tesi della Commissione, gli Stati Uniti avrebbero avuto la possibilità di catturare il capo di Al Qaeda intorno alla fine del 2001, vale a dire a soli tre mesi dall’attentato alle Torri Gemelle. In quell’occasione Bin Laden si trovava nascosto tra le montagne di Tora Bora con un centinaio di fedelissimi, ma i generali americani, dopo aver ordinato una serie di raid aerei, evitarono di lanciare un’offensiva decisa, sebbene avessero la possibilità di mobilitare in poche ore migliaia di uomini.
Solo in seguito allo scampato pericolo, si legge sempre nel rapporto, Bin Laden sarebbe fuggito in Pakistan riacquistando la capacità di attrarre flussi costanti di denaro e di ispirare nuovi fanatismi in tutto il mondo. In realtà sono anni che John Kerry si batte per scoperchiare la presunta debacle dell’esercito americano in Afghanistan, e anche stavolta ha rivolto i suoi strali contro l’allora segretario alla Difesa Donald Rumsfeld e contro l’ex comandante del Centcom Tommy Franks; ma non c’è dubbio che il nuovo rapporto possa risultare scomodo anche per Barack Obama, alle prese con il sempre maggiore scontento dell’opinione pubblica riguardo al conflitto in Afghanistan.
Poi c’è la spinosa situazione dello scontro a distanza tra Robert Gates e Stanley McChristal. Il primo non nasconde i suoi timori sul fatto che la guerra si stia trasformando in un pantano sempre più simile a quando, in Afghanistan, c’erano i russi di Gorbaciov (Gates, allora numero due della CIA, era responsabile dell’appoggio fornito dagli Usa ai ribelli anti-sovietici); McChristal invece preme perché il governo Obama ingrossi il numero delle truppe presenti sul fronte afgano. Secondo il Wall Street Journal, i contrasti tra Gates e McChristal risalirebbero addirittura ad agosto, quando i due si incontrarono in una base militare in Belgio e il segretario della Difesa parlò per la prima volta del “rischio pantano”.
Il rapporto Kerry, le parole di Gates, le richieste pressanti dei generali, finiranno per mettere a dura prova la già traballante popolarità di Obama: il presidente, sta pagando a caro prezzo un anno di incertezze e immobilità nell’impegno alla lotta contro il terrorismo, e i recenti successi come il Nobel per la pace e il primo voto favorevole alla riforma sanitaria, hanno solo rallentato la discesa nei sondaggi. Mai come in questo momento, quindi, sembra necessario serrare i ranghi ed evitare di esser colpiti dal cosiddetto "fuoco amico". Gli Stati Uniti non possono vincere a Kabul senza averlo fatto prima a Washington.