La strategia di Obama per restare alla Casa Bianca? Attaccare il Congresso

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La strategia di Obama per restare alla Casa Bianca? Attaccare il Congresso

10 Gennaio 2012

Mentre i candidati Repubblicani alla presidenziali in corsa per la nomination del Gop sono da una settimana a fare campagna elettorale nello Stato del New Hampshire – dove in queste ore si vota per le primarie Repubblicane a una settimana dalla vittoria in Iowa di Mitt Romney e l’ascesa di Rick Santorum, questi ormai secondo nei sondaggi nazionali tra i candidati conservatori – dalle parti della Casa Bianca, su Pennsylvania avenue a Washington, emerge lenta la strategia per la campagna presidenziale che Barack Obama e il suo staff metteranno in campo in vista delle elezioni del prossimo 6 Novembre 2012. 

Una buona misura di ciò è data dai cambiamenti che Obama sta lentamente apportando alla propria squadra. Proprio ieri si è dimesso il capo di cabinetto di Obama, William Daley, il quale farà spazio al più spregiudicato Jacob Lew in vista dei prossimi, intensissimi, nove mesi elettorali. Costretto a fare i conti con un quadro economico non roseo ma che comunque, seppur lentamente, inizia a dare qualche segnale positivo – a Dicembre la disoccupazione Usa è scesa all’8,4 % dal 10 % dello scorso Febbraio – il presidente Usa sembra intenzionato a voler fondare la strategia propagandistica Democratica per la sua rielezione ‘sparando’ sul Congresso.

Gli strateghi di Obama giocheranno infatti parte della partita sull’inefficienza decisionale del Congresso americano (un sondaggio compiuto dall’istituto progressista Gallup lo scorso 19 Dicembre parla di un tasso di approvazione per la branca legislativa statunitense presso l’opinione pubblica americana al minimo storico dell’11%) cercando di riflesso d’assimilare il frontrunner Repubblicano di turno (almeno fino a quando non ve ne sarà uno solo) proprio alla leadership Congressuale – soprattutto quella Repubblicana della Camera bassa. Una trappola nella quale i candidati Repubblicani spesso sono costretti a cadere, colti tra necessità politiche personali e blanda ‘fedeltà’ di partito.

Quel che Obama sta cercando di vendere a un demoralizzato elettorato Democratico – ma anche e soprattutto a un indeciso elettorato indipendente ovvero quello che alla fine deciderà chi siederà nel quadriennio 2012-16 nello Studio Ovale – è che l’impossibilità di incidere maggiormente sull’economia (da sempre uno dei più importanti banchi di prova del primo mandato presidenziale statunitense) con keynesiana nuova spesa pubblica e keynesiane nuove tasse, sia attribuibile al Congresso, o per essere più precisi, a uno split Congress, ovvero a un Congresso diviso tra controllo Democratico (il Senato) e Repubblicano (la Camera dei Rappresentanti).

Di certo negli ultimi mesi le frizioni tra Casa Bianca e Congresso non sono mancate. Dal braccio di ferro inconcludente che lo scorso Agosto ha portato al declassamento del debito statunitense per mano di Standard&Poor’s dopo la guerra di trincea tra Casa Bianca e Senato Democratici su un fronte e Camera dei Rappresentanti Repubblicana sull’altro per l’innalzamento del tetto al debito sovrano Usa; passando per il job plan, il piano occupazionale da mezzo trilione di dollari che Obama avrebbe voluto in campo lo scorso autunno, arenatosi malamente al Senato (in quel caso erano emersi soprattutto malumori in casa Democratica); fino alla super commissione bipartisan per i tagli alla spesa federale impantanatasi per mancanza d’accordo e che condurrà a tagli lineari alla spesa in difesa nell’ordine di 500-600 mld di dollari in dieci anni.

La narrativa di cui Obama ha bisogno è insomma tutta là, a portata di mano: puntare il dito contro il Congresso e la leadership Repubblicana della Camera bassa – John Boehner e David Cantor e il caucus del Tea Party – accendere il ritornello politico del ‘bastone tra le ruote’ e puntare sull’obbligo di far da solo. Ed è questo quel che fa il presidente Usa. Non solo sulle nomine fatte mentre il Congresso è in recess, in pausa, ma anche e soprattutto usando con perizia il nodo del taglio alla spesa federale.

Lo scorso 5 Gennaio, dal Pentagono, Obama si è infatti personalmente incaricato di pubblicizzare la sua Defense Strategic Review, la nuova strategia di tagli alla spesa per difesa (l’ordine di grandezza dei tagli sarà divulgato a settimane ma è evidente con essi, sommati a quelli lineari a venire a causa del fallimento della super-commissione alla spesa pubblica, il messaggio Usa al mondo è chiaramente “No superpower here” come il Weekly Standard ha giustamente titolato un articolo a firma Gary Schmitt e Thomas Donnelly di questa settimana). D’altronde senza una difesa all’altezza delle sfide non c’è futuro per gli Stati Uniti.

Obama ha deciso di giocare il tutto per tutto: passare come l’uomo che fa pulizia a Washington di fronte a un Congresso riottoso (perché diviso) tagliando la spesa – anche quella considerata intoccabile dai Repubblicani ovvero la difesa – per finanziare la sua riforma sanitaria, l’Obamacare e il modello di ingegneria sociale all’europea, il tutto nella speranza di essere rieletto il prossimo Novembre nella sfida contro colui che appare il suo più probabile sfidante Repubblicano, Mitt Romney, e con l’auspicio che la Corte Suprema non sancisca come inconstituzionale l’indivudual mandate, ovvero l’obbligatorietà della polizza assicurativa prevista dalla sua riforma sanitaria.

Quella di Obama è una rotta che potrebbe rivelarsi piena d’incognite e d’imprevisti. La riuscita della manovra verso un secondo mandato dipenderà principalmente dalla capacità dei Repubblicani di opporre un progetto alternativo e credibile al declino di cui è in parte artefice e in parte testimone l’attuale presidente statunitense.