La strategia talebana funziona: Karzai punta il dito su Nato e Usa
26 Agosto 2008
L’Afghanistan è diventato peggio dell’Iraq. Tutti i giorni dai fronti dell’incandescente Paese dell’Asia meridionale arrivano notizie che confermano questa realtà. Negli ultimi mesi il numero dei militari alleati caduti ha ampiamente superato il numero dei caduti americani in Iraq ed il 2008 è già l’anno più sanguinoso da quando, nell’autunno 2001, fu rovesciato il regime talebano ed ebbero inizio le operazioni di stabilizzazione.
L’imboscata ai soldati francesi della scorsa settimana è solo il più grave di una serie di episodi che danno la cifra drammatica del deteriorarsi della situazione sul campo. Potremmo ricordare l’assalto a colpi di kamikaze alla base Salerno di Kost, rintuzzato a fatica, o i diversi attacchi con trappole esplosive che anche questo mese hanno provocato la morte di civili e militari NATO. Picchi di una strategia, quella talebana, che negli ultimi mesi è cambiata e che pare proprio aver gettato nel panico i comandi NATO. Fino allo scorso anno le violenze erano concentrate nel sud del Paese e, in misura minore nell’est. Soprattutto nel sud, nelle provincie di Hellmand ed Uruzgan, i talebani impegnavano a viso aperto i militari inglesi, canadesi e olandesi. Grandi battaglie campali il cui esito era scontato: la falcidia tra i miliziani che, ingaggiando i militari NATO allo scoperto, si esponevano inevitabilmente agli attacchi dell’Aviazione alleata. Un disastro: in pochi mesi i talebani hanno perso migliaia di uomini e molte volte i superstiti delle battaglie non avevano altra scelta che sconfinare nelle vicine provincie occidentali di Farah ed Herat.
Le batoste prese ad Hellmand hanno allora convinto il comando talebano di Peshawar a cambiare decisamente strategia, sia da un punto di vista politico che militare. Politicamente, si è avuta l’unificazione di fatto dei due movimenti talebani, quello afgano e quello pachistano, in unico grande movimento di “resistenza” transfrontaliero di etnia pashtun ed ispirazione deobandi. L’obiettivo di questo movimento, le cui fila sono tirate da Islamabad, è dimissionare o addomesticare Karzai e far sloggiare il prima possibile la NATO. Da un punto di vista militare, invece, si è iniziato a puntare sempre di più su trappole esplosive e kamikaze e sulle imboscate ai convogli di rifornimenti. Meno scontri campali, quindi, e più mordi e fuggi ed i risultati sono sotto gli occhi di tutti. Il numero di attacchi condotti con queste tecniche si è letteralmente impennato negli ultimi mesi e con essi le perdite nelle fila alleate.
La revisione della strategia talebana è stata favorita anche dall’afflusso al fronte afgano di elementi jihadisti provenienti dall’Iraq, da dove sono stati sloggiati dalle brigate del surge e dagli squadroni baathisti prima loro alleati. E così l’attenzione di Al Qaeda si è spostata nuovamente sull’Afghanistan. Negli ultimi mesi il numero di combattenti stranieri nel Paese è aumentato a dismisura. L’ennesima conferma della teoria dei vasi comunicanti che metterebbero in comunicazione, appunto, il teatro afgano e quello iracheno. Quando il livello di violenza scende da un parte, automaticamente aumenta dall’altra: si travasano conoscenze ed expertise nella fabbricazione di ordigni e “cocktail esplosivi” ed aumenta il potenziale bacino per il reclutamento di kamikaze.
L’attacco alle colonne di rifornimenti è invece un classico di tutte le guerre afgane. Così furono affamati gli inglesi nell’800, così immobilizzata nelle grandi città l’Armata rossa un secolo dopo e così rischia di accadere alla NATO oggi. Lo sforzo logistico che alimenta ISAF ed Enduring Freedom passa per la gran parte dal Pakistan. Rifornimenti ed equipaggiamenti arrivano nel porto di Karachi, attraversano tutto il Pakistan e giungono in Afghanistan tramite il mitico Khyber Pass. Negli ultimi mesi gli attacchi lungo la strada che dal Passo porta a Jalalabad e poi a Kabul si sono moltiplicati. Il terreno d’altra parte si presta in maniera eccellente alle imboscate e la copertura del convogli risulta difficile. Lo stesso accade lungo la strada che collega Kandahar con Kabul, l’altra grande direttrice che consente alla capitale, circondata per il resto da montagne, di comunicare con il resto del Paese. Sono molte le testimonianze di camionisti che parlano di attacchi sempre più frequenti e di molti colleghi che si rifiutano di trasportare materiali per le forze NATO ed americane dopo essere stati minacciati dai talebani. A fine luglio sette di loro sono stati estratti dalle vetture dopo un attacco e decapitati: un monito terribile, ma efficace.
Per la NATO risulta complicato contrastare questa nuova/vecchia strategia talebana. Il terreno è quello che è, le strade sono poche e per lunghi tratti pressoché incontrollabili. Occorrerebbero più elicotteri e aerei da trasporto tattico per movimentare equipaggiamenti, truppe e materiali ed ovviare, in parte, al problema. Ma da questo punto di vista, molti paesi impegnati in Afghanistan hanno raschiato letteralmente il barile ed ormai la prassi è ricorrere ad elicotteri di compagnie private, pagando prezzi più che salati. Il rischio, paventato in questi giorni da molti esperti e rilanciato da diversi organi di stampa, è che i talebani riescano a tagliare le vie di comunicazione per Kabul e ad isolarla. Molte fonti segnalano una forte presenza talebana nei distretti di Surobi, Kapisa e nella provincia di Wardak: tutte aree prossime alla capitale da dove, nel 1996, partì l’attacco finale dei talebani a Kabul. Uno scenario da incubo che consentirebbe ai talebani non tanto di riprendersi la città – non ne avrebbero difatti la forza almeno finché vi resta la NATO – quanto piuttosto di aumentare la pressione sul comando di ISAF e sul Governo Karzai per modificare il quadro politico in vista delle presidenziali del prossimo anno – favorendo l’ascesa di un candidato amico, o non sgradito, o un definitivo sganciamento di Karzai da America e NATO.
Per quanto riguarda quest’ultimo aspetto, poi, i tentennamenti del Presidente sono già iniziati. Offrendo come giustificazione l’errore dell’Aviazione alleata – che di recente ha portato alla morte di una novantina di civili nell’ovest del Paese – Karzai ha annunciato l’intenzione del proprio Governo di voler rinegoziare la presenza dei militari stranieri in territorio afgano. Il ministro Frattini ha risposto dal meeting di Rimini che rinegoziare la presenza militare della NATO non significa ritirare i contingenti. E via con la polemica. Effervescenze balneari? Annunci elettorali? Forse, certo è che un calcolo, quello talebano, che poteva sembrare azzardato rischia lo stesso di tradursi in realtà per via delle oggettive difficoltà che la NATO sta incontrando sul terreno e dell’impossibilità di attuare una risposta efficace. Anche perché, e qui tocchiamo un altro tasto dolente della questione, per ottenere dei risultati duraturi contro la guerriglia talebana sarebbe necessaria un’autentica svolta politica in Pakistan. Anzi, una vera e propria rivoluzione che convinca il successore di Musharraf a fare sul serio la guerra ai talebani annidati nelle FATA (Federally Administered Tribal Areas) e nella NWFP (North-West Frontier Province). Una svolta su cui non c’è da scommettere perché il nuovo Presidente, esattamente come il precedente, si troverebbe costretto a mediare tra interessi contrastanti, pena la perdita della poltrona, ed a continuare nella politica del bastone e della carota adottata in questi anni nei confronti dei talebani.
Che fare, allora? Un’alternativa sarebbe quella di attacchi in grande stile nelle suddette aree – se non addirittura di un’invasione – ma anche questa è francamente poco realizzabile per via delle conseguenze che potrebbe avere. Se ne parla da tempo, ma, almeno per ora, NATO ed America non sembrano disponibili ad imboccare una strada del genere che, a tutti gli effetti, segnerebbe il superamento di una linea rossa e la definitiva escalation del conflitto afgano/pachistano. Non resta allora che una mezza guerra, per cui si fa quello che si può visti i limiti politici e ambientali cui deve sottostare la leva militare. In Vietnam gli americani persero così.