La svendopoli del Modello Veltroni

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La svendopoli del Modello Veltroni

13 Ottobre 2007

Si dice che la migliore difesa sia l’attacco. Su un tema spinoso come quello della casa pare che Walter Veltroni l’abbia capito fin dall’inizio del suo primo mandato da Sindaco. Allora come oggi le sue dichiarazioni sono sempre le stesse: “Prorogare il blocco degli sfratti”. “Il governo si faccia carico dell’emergenza casa”. Queste stesse affermazioni si possono trovare tutti gli anni, con piccole variazioni. In questo modo Walter scarica sul governo, amico o nemico che sia, la patata bollente. Così, il 27 giugno 2001, a circa un mese dall’elezione, commentava il blocco degli sfratti deciso dal governo Belusconi: “Va bene, ma non basta, perché da solo non risolve il problema dell’emergenza abitativa. La nostra giunta ha predisposto misure atte a ridurre il drammatico disagio di chi vive in condizioni di precarietà. Dalla fine di luglio 2001 circa diecimila famiglie che si trovano in condizioni critiche, tra cui anche gli sfrattati, riceveranno dall’amministrazione un contributo al pagamento dell’affitto”. Si trattava di una misura già da tempo attuata in molte realtà territoriali, prevista dalla legge che aveva riaperto il mercato degli affitti, comunque inadeguata a fronteggiare in modo appropriato la questione. Eppure, come di consueto, il sindaco ritenne che meritasse di essere annunciata con enfasi. Per lui era il virtuoso inizio della nuova amministrazione appena insediata. In realtà il buono casa, pur avendo evidentemente una funzione positiva, è un palliativo che risponde a una logica meramente assistenziale. Come curare una broncopolmonite con un’aspirina.

L’aspetto bizzarro è che la stessa amministrazione che lamentava la carenza di case per fronteggiare l’emergenza abitativa stava vendendo 1300 appartamenti, peraltro di grande pregio. Strano no?

Era stata la Giunta Rutelli sul finire del suo mandato ha deliberare il regolamento per la dismissione del patrimonio comunale. Su questo argomento vale la pena fare un passo indietro e raccontare le vicende di una Società creata da Francesco Rutelli e “normalizzata” verso la fine del suo mandato: Risorse per Roma.

Quando ne fu annunciata la creazione, nel 1994, sembrava dovesse essere la panacea per la soluzione di tutti i problemi del patrimonio immobiliare del Comune di Roma. All’assessorato al Patrimonio, accorpato con quello al Bilancio, c’era ancora Linda Lanzillotta, oggi divenuta ministro per gli Affari regionali. “E’ nostra intenzione valorizzare al meglio l’enorme potenziale del Patrimonio immobiliare”, dichiarava la Lanzillotta. Dall’annuncio all’avvio dell’attività passò circa un anno. A guidarla fu chiamato un vero manager: Aldo Palmeri, ex Benetton e vicepresidente della società Gallo advisor. Le intenzioni di Palmeri erano serie: valorizzare il patrimonio comunale e solo in seguito metterlo in vendita cercando di ottenere il massimo del rendimento finanziario. Per esempio aveva studiato un piano di sfruttamento dell’ex Mattatoio, area molto suggestiva del quartiere Testaccio, antico macello cittadino. L’idea di Palmeri era di sfruttare gli immensi capannoni per usi anche commerciali. Ma tutto era troppo sensato per essere vero e duraturo. E infatti Risorse per Roma spa doveva divenire tutt’altro. Così Palmeri stanco dei continui contrasti con la Giunta Rutelli se ne va nel 1996 e la società viene riportata in ambito politico, finalmente diretta in modo “ortodosso”.

A presiederla viene chiamato Umberto Mosso, credenziali professionali a prova di bomba: funzionario di partito. Quale? Il Pci-Pds, ca va sans dire. Come amministratore delegato viene chiamato Claudio Pancheri, boiardo di seconda fila, di provenienza Iri che ama vantare un’intimità con Romano Prodi, sicuramente abbastanza avvezzo alle interferenze dei partiti da non sentirsi diminuito dalla forte presenza politica. Alla vocazione manageriale viene prontamente sostituita quella di società funzionale a distribuire incarichi di vario tipo. In altre parole Risorse per Roma nel nuovo assetto della gestione Mosso-Pancheri, diviene sempre di più un centro di smistamento di incarichi professionali nel settore edilizio. In sostanza dovendo assegnare l’incarico per la ristrutturazione di un edificio comunale si procedeva alla designazione della Risorse per Roma per la consulenza alla progettazione in modo da non dover procedere alla regolare gara prevista dalla legge Merloni, o almeno al confronto su curriculum. La funzione di valorizzazione e gestione del patrimonio immobiliare risultava marginale, o meglio da rendere funzionale all’uso politico più idoneo.

Nella primavera del 1999 quando Carlo Azeglio Ciampi sale al Quirinale e come ad effetto domino Giuliano Amato va al Tesoro e chiama Linda Lanzillotta, si libera la casella dell’assessorato al Bilancio. Il capogruppo del Pds Antonio Rosati, crede che sia arrivato il suo momento, ma viene freddato nelle sue aspirazioni. Si deve trovare una nomina che lo compensi. Quale soluzione migliore se non nominarlo presidente della Risorse per Roma? Nello stesso tempo non si può deludere Mosso che in fondo ha svolto bene il suo ruolo politico. Viene trovata una soluzione degna di una creatività delle nomine che neanche Cencelli avrebbe saputo concepire. Antonio Rosati ottiene la presidenza, dunque il capo di un gruppo politico consiliare alla testa di una società di gestione. La soluzione più oculata per una amministrazione veramente super partes. Umberto Mosso e Claudio Pancheri si dividono in parti uguali la carica di amministratore delegato. Strano ma vero. Due amministratori delegati. Il risultato è che la morsa politica arriva anche a ricoprire, seppur in coabitazione, anche l’altra carica che conta in Risorse per Roma. La “perla” di una gestione di questo tipo è la delibera che dovrebbe assegnare il bando di gara per la gestione della Casina Valadier, gioiello neoclassico nel cuore di Villa Borghese già sede di un ristorante. Piccolo, insignificante particolare non viene prevista nell’assegnazione la licenza per la ristorazione. Dunque la Risorse per Roma è talmente manageriale da dimenticare che quel luogo servirà per aprire un ristorante, di lusso, ma pur sempre obbligato ad avere una regolare licenza. Risultato un canone non può essere riscosso per la negligenza della società che dovrebbe occuparsi proprio di ottimizzare i ricavi. Un anno di ritardo e di canone non riscosso per il Comune. Alla faccia della gestione manageriale. Risorse per Roma oggi è una società che svolge anche attività di consulenza, assistenza e fornitura di servizi connessi allo sviluppo locale per conto di soggetti pubblici e privati. Senza contare le attività volte al recupero e alla “riqualificazione” di aree della città. Il presidente è sempre un politico: Vincenzo Puro, ex presidente Ds del VI Municipio. Insomma è un’altra scatola con la quale aggirare quei lacci e laccioli che la “noiosa” democrazia impone.

E i 1300 appartamenti che fine hanno fatto? Sono stati venduti con modalità assurde. Prima considerazione: non sono stati considerati immobili di pregio pur stando in pieno centro storico di Roma.  Così per stabilirne il prezzo si è applicata la riduzione del 20% del valore catastale che altrimenti poteva essere evitata. A quella riduzione è aggiunto uno sconto del 30% per gli inquilini che acquistavano e un ulteriore 15 % per coloro che acquistavano associandosi in un gruppo. Insomma una pacchia tale che ha consentito di acquistare un appartamento di 100 mq a Piazza Navona 68 a duecentocinquantamila euro, valore di mercato due milioni di euro. La maggior parte degli inquilini ha realizzato plusvalenze da far girare la testa. Insomma per i privilegiati che hanno beneficiato, nella maggior parte dei casi non essendo  in possesso dei recquisiti di bisogno di canoni d’affitto minimi, è arrivato il regalo finale: l’acquisto definitivo.

In questo splendido affare per il Comune, oculato amministratore delle sue proprietà, la beffa è stata un emendamento presentato dalla consigliera di Rifondazione Patrizia Sentinelli, oggi viceministra degli Affari Esteri: il 50 % del ricavato doveva essere destinato all’acquisto di “abitazioni idonee a una residenzialità popolare”. Risultato il Comune ha venduto a 2000-2500 euro a metro quadro a Piazza Navona e comprato a 4000-4500 a Pomezia. Fantastico! Così sì che si dà un bello shock al debito del Campidoglio che ormai viaggia a ritmo serrato verso i 7 miliardi di euro(erano 6,5 nel 2001). Un ottimo modello per l’Italia, “Modello Roma” insomma. Per non parlare del cumulo delle morosità che sono stimate fino all’anno 2006 a 202 milioni di euro (erano 145 nel 2002), dei quali 57 solo nel 2006. Non parrebbe che l’attività di risanamento dei conti proceda così bene.

Siccome il metodo però al Sindaco pare ottimo, un modello appunto, ha deciso di rifarlo. Ma stavolta non su 1300 appartamenti, su 13000, il 54% del patrimonio immobiliare del Comune. Lo scorso anno, infatti è stata votata una delibera che mette sul mercato, si fa per dire, questa quantità enorme di abitazioni. E’ sperabile che i riflettori accesi su “Svendopoli” possano contribuire ad evitare un’altra alienazione così assurda. Ma è inutile illudersi più di tanto.

Comunque al di là dello scarica barile a cui ci ha abituato il Sindaco, strumenti per introdurre nuove politiche sulla casa di sono. Ne abbiamo accennato nella puntata sull’economia, ma lo ribadiamo.

Veltroni, al contrario di quanto sostiene nei suoi discorsi, durante i sei anni di governo capitolino, non ha assolutamente perseguito un politica di housing sociale, limitandosi a dare sponda a fenomeni come Action, l’associazione che occupa le case animata dal suo ex consulente Nunzio D’Erme – tenendosi buona la parte “antagonista” della sua maggioranza – e contemporaneamente ha dato pieno avallo alle politiche di espansione edilizia, dalle quali non ha certamente tratto vantaggio la città, ma casomai i signori dell’Acer, l’associazione dei costruttori romani, portatori di un modello economico superato e pericoloso per i già compromessi equilibri del territorio romano. In altre realtà locali (prima fra tutte Milano dove è stato istituito il Fondo Immobiliare Etico della Fondazione Housing sociale al quale partecipano banche, istituzioni e la Telecom) si sono sperimentati nuovi strumenti di politica sulla casa e si sono poste solide basi alla soluzione del disagio abitativo. Disagio che colpisce non tanto le persone meno abbienti, comunque coinvolte nelle tradizionali politiche sociali per la casa, ma la classe di giovani altamente qualificati, un notevole motore di sviluppo per la città. Un dato emblematico di quanto Roma non sia una città che attrae questa classe sociale così preziosa è la contrazione di abitanti tra 25 e i 34 anni, diminuiti negli ultimi quindici anni del 25%, a fronte di una popolazione sostanzialmente stabile. Uno delle cause principali di questa diminuzione è certamente l’alto costo degli affitti. Non si tratta di rinverdire equo canoni o di limitare il libero mercato, ma solamente di favorire e incentivare la creazione di fondi immobiliari di iniziativa privata finalizzati a quelle classi della società preziose per l’economia ma non così stabili da potersi permettere affitti sempre più cari.

Insomma il problema della casa è sempre più un’emergenza ma non serve abbaiare alla luna. Si dovrebbe far ricorso come detto a forme innovative che superino le politiche fino ad oggi applicate, che hanno prodotto il paradosso che viviamo: il cemento aumenta, aumentano le case, la popolazione è stabile eppure si parla di drammatica emergenza abitativa. Caro Segretario, perché da oggi anche se si vota solo domani possiamo cominciare a chiamarla così, non trova tutto ciò un po’ assurdo? E non pensa di essere un po’ responsabile di questo sfacelo?