La tecnocrazia emerge quando i partiti rinunciano alla sfida delle riforme

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La tecnocrazia emerge quando i partiti rinunciano alla sfida delle riforme

La tecnocrazia emerge quando i partiti rinunciano alla sfida delle riforme

29 Dicembre 2011

Sono vari i paesi della zona euro che affrontano il futuro pagando il prezzo della sfiducia dei mercati rispetto alla sostenibilità del loro debito pubblico. I motivi economici che soggiacciono a questa sfiducia sono molteplici. Per certi paesi, come l’Italia, questi motivi sono da ricercarsi nella combinazione tra alti livelli di stock di debito e una dimostrata incapacità dell’economia di crescere in maniera vigorosa, perfino in fasi d’espansione economica mondiale.

Nel caso della Spagna, invece, i problemi sono da ricercarsi da una parte nell’incapacità del mercato del lavoro e del sistema finanziario d’allocare in modo efficiente i fattori produttivi tra impresa e settori e dall’altra nell’incapacità del settore bancario di rilanciare la ripresa, fenomeni che si sono tradotti in alti livelli di disoccupazione sociale economicamente inaccettabile. La conseguenza fiscale di questa situazione è stata la creazione di deficit il quale ha fatto innalzare rapidamente gli inizialmente bassi livelli di debito pubblico, finendo col portare in dote anche la sfiducia internazionale di mercati.

Cause economiche a parte però, la risposta a queste sfide non deve essere fondamentalmente solo tecnica. La risposta deve essere essenzialmente politica. Si tratta di recuperare la fiducia internazionale, da una parte riducendo strutturalmente i livelli di spesa pubblica e dall’altra incrementando il potenziale di crescita di lungo periodo dell’economia. E ciò, sia chiaro, non si può fare senza la politica.

Detto in modo diverso, questa è eminentemente una missione politica di primo ordine giacché presuppone di modificare tanto le aspettative dei cittadini rispetto a ciò che possono attendersi dai poteri pubblici quanto le nuove responsabilità che questi soggetti – assieme alle organizzazioni della società civile – dovranno prepararsi ad affrontare. Si tratta, insomma, di modificare alla base il ‘contratto sociale’ imperante in questi paesi, adeguandolo alla realtà dell’economia mondiale e rendendolo compatibile con gli accordi volontariamente sottoscritti dai paesi di fronte al resto dei soci della moneta unica europea.

Di fronte a queste sfide comuni, la maniera con la quale tra paese a paese si è deciso di affrontarle è stata molto differente. In alcuni paesi, come la Grecia, si è affermata la retorica politica dell’imposizione esterna come sotterfugio per non assumere il costo politico di cambiamenti imprescindibili. In altri paesi, come Irlanda e Portogallo, è stata assunta come sfida nazionale mettere in pratica le regole in questione e onorare gli accordi sottoscritti al momento dell’entrata nel club dell’euro.

Anche le formule politiche scelte hanno differito sostanzialmente tra paese a paese. In Grecia e in Italia si è andata affermando la cosiddetta soluzione ‘tecnocratica’ come alternativa alla via dell’alternanza politica seguita da altri nazioni. Sia chiaro però che la tecnocrazia, di per sé, non è l’opposto della politica, è semmai una forma molto particolare d’assunzione di decisioni che generalmente ricadono sulla politica. In questo senso tecnocrazia è piuttosto la manifestazione della rinuncia degli attori politici abituali, i partiti politici, di affrontare apertamente, di fronte alla società, la responsabilità dei cambiamenti che devono essere innescati.

Non si creda però che tutte queste vie siano tra loro equivalenti. Non lo sono. Non lo sono né come percorso per raggiungere l’obiettivo della riforma – economica o politica che sia – né tanto meno per assicurare la salute e il prestigio del quadro politico di convivenza nazionale. Di fatto, che la Spagna abbia scelto la via dell’alternanza politica in piena normalità democratica, sposando la retorica di voler onorare gli accordi europei, si traduce oggi in maggiore autorevolezza in un momento nel quale essa è chiamata ad affrontare le importanti decisioni che dovrà assumere.

La normalità democratica permetterà di sostenere nel tempo gli sforzi e il cammino di riforme che gli spagnoli, con una larga maggioranza, hanno scelto liberamente. Questo è un fattore di stabilità e di fiducia di primaria importanza che si staglia lontano dalla precarietà legata a soluzioni d’eccezionalità. Andando per un momento oltre la teoria, queste differenze tra paesi sono oggi riconosciuti dai mercati finanziari come la chiave d’economia politica tesa alla soluzione della crisi del debito sovrano nella zona euro.

In Spagna sono state le urne che hanno reso esplicito la volontà della maggioranza, generalmente silenziosa, affinché nel paese cambino le cose. E il clamore maggioritario delle urne dell’insieme degli spagnoli supererà le grida di fondo di coloro che pretendono erigersi a minoranza di blocco di fronte alla paura della trasformazione e del cambiamento. L’attivo politico ed economico più meritorio della società spagnola è infatti proprio la sua buona propensione al cambiamento quando è messa innanzi a progetti volti a ridare speranza d’apertura, liberalizzazione e riforma, specialmente in momenti di grave difficoltà. Su questo attivo sarà costruita la ripresa economica.

In altri paesi sarà più difficile discernere se i manifestanti sullo sfondo siano o meno il riflesso di un sentimento della maggioranza. Ciò sarà più difficile anche perché si è deciso di non sottomettere la questione al voto dell’insieme della cittadinanza. Sia per rinuncia che per paura dell’opinione maggioritaria dei cittadini, questo maggior livello d’incertezza politica costituirà un impedimento per quei paesi che dovranno comunque affrontare le riforme necessarie per fare dell’euro un’area di prosperità, libertà e stabilità per tutti i cittadini.

*Fernando Navarrete è direttore dell’area Economía y Políticas Públicas presso FAES, la fondazione presieduta dall’ex-primo ministro spagnolo, Jose Maria Aznar.