La tela di D’Alema per intrappolare Silvio e Walter

LOCCIDENTALE_800x1600
LOCCIDENTALE_800x1600
Dona oggi

Fai una donazione!

Gli articoli dell’Occidentale sono liberi perché vogliamo che li leggano tante persone. Ma scriverli, verificarli e pubblicarli ha un costo. Se hai a cuore un’informazione approfondita e accurata puoi darci una mano facendo una libera donazione da sostenitore online. Più saranno le donazioni verso l’Occidentale, più reportage e commenti potremo pubblicare.

La tela di D’Alema per intrappolare Silvio e Walter

La tela di D’Alema per intrappolare Silvio e Walter

07 Dicembre 2007

Che la
situazione per il governo Prodi si sia fatta critica per davvero è un dato di
fatto che neppure i più convinti “negazionisti” dell’Unione riescono più a
nascondere. La linea Maginot di una maggioranza non autosufficiente, salvata in
extremis dal voto determinante dei senatori a vita, è stata oltrepassata nel
peggiore dei modi. E addirittura nell’aula di Palazzo Madama si è assistito
allo spettacolo surreale di un ex presidente della Repubblica, Francesco
Cossiga, intento a giocare con il Parlamento come fosse una costruzione Lego.

Delle reali
motivazioni che potrebbero aver spinto il “picconatore” a gettare la scialuppa
di salvataggio all’esecutivo parleremo più avanti. Intanto, per incasellare
compiutamente i sommovimenti politici in atto, è necessario comprendere quale
sia lo scenario all’interno del quale si sta giocando una partita che diventa
ogni giorno più complessa. Una partita che passa attraverso la riforma della
legge elettorale, e che ha come sfondo l’incombente referendum, o, in
alternativa, la possibilità di un imminente ricorso alle urne.

Tre, dunque,
le ipotesi in campo. Quanto all’autentico epicentro dello scontro, al di là dei
fuochi d’artificio che animano il centrodestra, è evidente che vada individuato
nel cuore del Partito democratico.

Da un lato
c’è Walter Veltroni, con la sua strategia piuttosto chiara: ottenere una legge
elettorale che gli consenta di portare a termine la costruzione di un partito a
vocazione maggioritaria di cui lui sia il leader, e che permetta di risolvere
il “problema Prodi” approdando alle elezioni anticipate in un arco di dodici
mesi, possibilmente dopo aver realizzato qualche riforma istituzionale nella
quale però il sindaco di Roma è il primo a non credere.

Sul fronte
opposto si va precisando il disegno di Massimo D’Alema, che passa per una
riforma elettorale in senso decisamente proporzionale. Insomma, se il
segretario del Pd non disdegna di parlare spagnolo, il ministro degli Esteri
predilige il sistema tedesco. Obiettivo, fare della neonata creatura di piazza
Sant’Anastasia un partito non più a vocazione maggioritaria, non blindato in
direzione del centro, di fatto una formazione politica che possa continuare a
dirsi di sinistra, e che possa recuperare dalla “cosa rossa” parte di quel
patrimonio umano e politico che s’è andato disperdendo nel passaggio tra Ds e
Pd, e che non sembra ancora aver trovato una collocazione. Allo stesso tempo,
coerentemente con quest’ambizione, al vicepremier potrebbe non dispiacere
l’eventualità che parte dell’ala centrista del Partito democratico, ivi
compresi esponenti di rilievo come Enrico Letta e Francesco Rutelli, possano
abbandonare il loft per raggiungere Casini, Mastella, Pezzotta, Dini, e, perché
no, magari anche Montezemolo.

Se D’Alema
dovesse riuscire nel suo disegno, ci troveremmo di fronte ad un sistema
incentrato su una riedizione riveduta e corretta del centrosinistra, che
renderebbe assai più difficile la realizzazione del progetto berlusconiano di
un partito a vocazione maggioritaria nel campo del centrodestra. Del tentativo
di indebolimento del Cav. farebbe probabilmente parte a pieno titolo la
possibile diaspora di una parte di Forza Italia verso la “cosa bianca”. A ben
guardare, l’avanguardia di una simile trasmigrazione sembra essere Ferdinando
Adornato. Ma non è escluso che dietro le quinte siano in atto manovre di ben
altra proporzione. Manovre – per condurre il ragionamento fino in fondo – che
potrebbero in un futuro non troppo remoto indurre anche la Chiesa a cambiare
posizione, piegando anche le ultime resistenze nei confronti della creazione di
un grande partito di centro che raccolga l’80%, e forse anche oltre, dei
cattolici che abitano il panorama politico italiano.

Il primo
alleato di Walter Veltroni nel contrastare questo progetto, l’unica controparte
in grado di garantire un asse sufficientemente resistente, si chiama Silvio
Berlusconi. Il quale non solo prima o poi dovrà dire chiaramente che la riforma
elettorale assieme al sindaco di Roma la si potrà fare anche dopo il
referendum, qualora non si faccia in tempo a concludere il percorso prima dello
scadere del conto alla rovescia. Ma forse, in questo quadro, dovrebbe anche
chiedersi se gli convenga per davvero continuare a cercare di far cadere Prodi.
Innanzi tutto, perché a Veltroni non si potrebbe mai chiedere di tornare al
voto nella prossima primavera, dunque l’orizzonte elettorale appare ormai
spostato al 2009. In secondo luogo, perché la caduta del governo e
l’impossibilità di ricorrere subito alle urne porrebbero Berlusconi di fronte
ad un interrogativo imbarazzante e assai pericoloso: sostenere o meno un
governo istituzionale che porti a termine le riforme? Beninteso, il capitolo di
un esecutivo di transizione potrebbe comunque aprirsi, indipendentemente dalla
volontà del Cav. Ma è indubbio che il leader del centrodestra non ha alcun
interesse a contribuire a che ciò accada.

Se lo
scenario fin qui tracciato corrisponde alla realtà, non è difficile comprendere
perché l’ex capo dello Stato abbia votato la fiducia sul pacchetto sicurezza,
chi è il “mandante”, e qual è l’obiettivo finale: la riedizione del progetto
D’Alema-Cossiga del 1998. Ma mentre l’orizzonte che Massimo D’Alema ha ben
presente davanti a sé è di tipo strategico, l’eventuale adesione al progetto di
esponenti berlusconiani avrebbe una valenza meramente tattica, come momento di
passaggio al post-berlusconismo, come alleanza contingente con la sinistra al
fine di garantirsi una reciproca legittimazione per poi tornare ad essere
alternativi.

In questa
fase, oltre al Cav., un altro “alleato” di Veltroni potrebbe rivelarsi Fausto
Bertinotti. Il presidente della Camera sta infatti prendendo coscienza che se
il referendum dovesse andare a buon fine, terminerebbe la breve esistenza
della “cosa rossa”, e alla sinistra del Pd scatterebbe il “tana libera tutti”
per i piccoli partiti che avrebbero tutto l’interesse a trattare singolarmente
la propria adesione ad un blocco più ampio. Bertinotti potrebbe dunque
abbandonare la sua predilezione per il modello tedesco nel momento in cui si
rendesse conto che è proprio quella la strada attraverso la quale D’Alema punta
a recuperare parte di coloro che la nascita del Pd ha spinto verso altri lidi.
E non è escluso che a quel punto anche il presidente della Camera possa
“convertirsi” al modello Veltroni.

Anche
Gianfranco Fini, a ben vedere, potrebbe avere tutto l’interesse ad aiutare
Walter Veltroni. Ma in questo caso si pone una condizione: che il leader di
Alleanza nazionale lo comprenda. E questo non è affatto scontato.

La partita
inizierà martedì in Senato, con la presentazione del testo che costituirà la
base della discussione sulla riforma elettorale. A seconda del disegno che Enzo
Bianco presenterà alla Commissione Affari Costituzionali, in base alle
indicazioni dei rispettivi partiti e della Commissione stessa, si comprenderà
subito chi è, in questa gara, a partire in pole position.