
La terza via “minilateralista” di David Cameron

09 Luglio 2010
Il nuovo governo britannico guidato da David Cameron e sostenuto da una coalizione di conservatori e liberaldemocratici nata dopo le elezioni di maggio sta muovendo i primi passi in politica estera, ma è impegnato al contempo in una revisione della politica di difesa, anche alla luce delle ristrettezze di bilancio imposte dal crescente indebitamento pubblico e dagli insegnamenti delle missioni in Iraq e Afghanistan. Il governo sta lavorando, in particolare a un documento per il riesame e l’aggiornamento delle linee strategiche della politica di sicurezza e difesa – Strategic Security and Defence Review – che dovrebbe portare all’introduzione di cambiamenti significativi, sia nell’organizzazione delle forze armate britanniche sia nell’approccio verso minacce e crisi attuali e future.
Vincoli crescenti
L’ultima Review strategica risale al 1998. Nel frattempo il contesto internazionale è notevolmente cambiato e il governo britannico ha sperimentato nuove forme e modalità di utilizzo delle forze armate britanniche. In particolare, le massicce e prolungate operazioni di controguerriglia e stabilizzazione condotte negli ultimi anni, in Afghanistan e prima ancora in Iraq, hanno evidenziato le lacune di un sistema militare ancora legato alle logiche della Guerra Fredda, in settori come l’equipaggiamento, le tattiche antiguerriglia e il procurement. Il ministero della Difesa ha dovuto ricorrere spesso ad acquisizioni extra-bilancio (urgent operational requirements) per far fronte ai bisogni emersi sul campo.
In totale, le operazioni militari in Afghanistan e Iraq negli ultimi nove anni sono costate al governo britannico 18 miliardi di sterline. Un costo sempre meno sostenibile politicamente viste le condizioni del bilancio pubblico. Gli interventi per fronteggiare la gravissima crisi finanziaria ed economica dello scorso anno hanno portato il deficit pubblico britannico all’11% del Pil e il debito pubblico all’80%. Livelli di indebitamento senza precedenti nella recente storia inglese, che hanno indotto il governo a presentare un piano di drastici tagli alla spesa pubblica. Le riduzioni di spesa investiranno anche il settore della difesa, secondo le linee guida che verranno definite appunto dalla Review: tagli e riforme dovrebbero infatti andare di pari passo con la ridefinizione delle priorità strategiche.
Non solo Afghanistan
Da quanto dichiarato finora dal ministro della Difesa Liam Fox, conservatore, alcuni punti fermi della Review sono già chiari. Si intende innanzitutto evitare che la riflessione strategica sia eccessivamente influenzata da quanto sta accadendo in Afghanistan. Al momento circa 10.000 militari britannici sono dispiegati nel paese, e 300 sono morti dall’inizio delle operazioni nel 2001: si tratta del più costoso e impegnativo sforzo bellico dalla Seconda Guerra Mondiale. Un esito onorevole del conflitto è quindi sicuramente la principale priorità della politica estera e di difesa del governo Cameron. Secondo Fox, tuttavia, un documento strategico volto a riformare e guidare la difesa britannica nei prossimi anni non può assumere che lo scenario futuro sarà caratterizzato da interventi come quello in Afghanistan. Ci sono molte altre minacce che la Gran Bretagna deve essere preparata ad affrontare, compresi, per esempio, conflitti per l’acqua e le risorse energetiche, la proliferazione nucleare e attacchi nel cyber-spazio.
In quest’ottica, un punto fermo riguarda il deterrente nucleare basato sui sottomarini Trident. Nonostante i suoi costi elevati e le conseguenti ipotesi di cancellazione prospettate dai lib-dem negli scorsi anni, Fox ha ribadito la decisione del governo di mantenere in funzione il deterrente nazionale per il prossimo futuro, con almeno tre sommergibili nucleari attivi.
Un segnale di cambiamento verrà dalle nomine dei nuovi vertici militari. È stato infatti annunciato che il capo di stato maggiore della difesa, Sir Jock Stirrup, e il più alto funzionario in servizio al ministero della Difesa, Sir Bill Jeffrey, entrambi nominati dal governo di Tony Blair, saranno sostituiti in anticipo rispetto alla scadenza del loro mandato, in concomitanza con la definizione della Review.
Il riesame della politica di sicurezza e difesa s’inquadra in una più generale ridefinizione delle priorità di politica estera britanniche. Il dilemma di fondo che Londra si trova ad affrontare non è dei più semplici: ha perso posizioni nei confronti delle potenze emergenti, riemergenti o consolidate, ma vuole continuare a giocare un ruolo globale. In un recente discorso il ministro degli Esteri, il conservatore William Hague, ha affermato che la Gran Bretagna deve puntare ad avere una maggiore “influenza globale”, sia all’interno dell’Ue sia in Asia e in America Latina attraverso un rafforzamento dei rapporti bilaterali con potenze emergenti quali Cina, India e Brasile. Per coordinare meglio politica estera e politica di difesa, il governo Cameron sta istituendo, tra l’altro, un National Security Council, sul modello di quello americano.
Cooperazione pragmatica con Bruxelles
In una recente conferenza dello European Security and Defence Forum, svoltasi allo IAI, il direttore di Chatham House, Robin Niblett, ha sottolineato come la politica di difesa del nuovo governo sarà fortemente influenzata dall’impostazione che verrà data alla politica estera, nonché da alcuni elementi del quadro internazionale ancora in evoluzione. Da un lato, infatti, la politica estera del governo Cameron è concentrata su teatri di guerra come quello afgano, su potenze emergenti come l’India, su strumenti di governance mondiale come il G20: tutte problematiche sulle quali il ruolo dell’Ue in quanto tale è considerato marginale. Dall’altro lato, l’Ue è l’ambito naturale nel quale può svilupparsi la collaborazione su altre questioni importanti per la sicurezza nazionale britannica, come la pirateria nel golfo di Aden, la stabilizzazione dei Balcani e il contrasto all’immigrazione clandestina.
Inoltre, il fatto che dopo l’entrata in vigore del trattato di Lisbona i principali governi europei non sembrino intenzionati ad approfondire ulteriormente il processo di integrazione, potrebbe dare maggiore spazio alla Gran Bretagna. Non essendovi infatti in vista nuovi grandi progetti di integrazione, Cameron deve preoccuparsi solo fino a un certo punto di rassicurare il proprio elettorato con posizioni euro-scettiche e può più agevolmente impegnarsi in forme di cooperazione europea pragmatiche, che sono peraltro fortemente caldeggiate dai partner di governo lib-dem.
Quello di Cameron è, come lo si è definito, un “minilateralism”: una sorta di terza via tra un unilateralism ormai difficilmente sostenibile per qualsiasi paese europeo e un multilateralism che mostra limiti evidenti specialmente quando a sedersi attorno al tavolo sono troppi governi con visioni e interessi divergenti. Una terza via che privilegia la cooperazione tra gruppi ristretti di paesi che su determinati dossier hanno interessi e volontà convergenti. Nel discorso summenzionato il ministro degli esteri Hague ha espressamente affermato che, per essere più attiva e presente nell’Ue, la Gran Bretagna deve promuovere cooperazioni con gli altri stati membri a livello bilaterale o in piccoli gruppi.
L’idea non è nuova nel campo della difesa: il Trattato di Lisbona prevede già una “cooperazione strutturata permanente”, e ben prima della sua entrata in vigore i ministri della Difesa di Francia, Gran Bretagna, Germania, Italia, Spagna e Svezia avevano firmato una Letter of Intent (Loi) e un accordo quadro sul procurement della difesa. Si tratta però di due iniziative che non hanno dato i frutti sperati. Recentemente, il ministro Fox ha dichiarato che la Gran Bretagna è disponibile a cooperare solo con i paesi europei che abbiano un bilancio della difesa significativo e che impieghino i loro soldati anche in operazioni di combattimento come quelle in Afghanistan. C’è un ulteriore importante caveat: con i tagli in vista, ogni forma di cooperazione europea non deve tradursi in costose duplicazioni degli asset nazionali britannici, ma al contrario servire a migliorare l’efficienza complessiva della politica di difesa.
Il nuovo governo britannico non è dunque contrario, in linea di principio, a impegnarsi in nuove forme di cooperazione europea nel campo della difesa, ma con una serie di significative condizioni, remore e cautele di cui gli altri paesi membri non potranno non tener conto.
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Alessandro Marrone è ricercatore presso l’Area Sicurezza e Difesa dello IAI.