La Turchia di Erdogan è ancora alleata dell’Occidente?

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La Turchia di Erdogan è ancora alleata dell’Occidente?

07 Febbraio 2009

La Turchia è un paese musulmano speciale. Tra le oltre 50 nazioni a maggioranza islamica, è la sola ad essere membro della NATO, oltre ad intrattenere negoziati per l’ingresso nell’Unione Europea, ad essere una democrazia liberale e ad avere rapporti normali con Israele. Tuttavia, sotto il suo attuale governo guidato dal Partito della Giustizia e dello Sviluppo (AKP), Ankara sta perdendo queste qualità che l’hanno resa finora speciale. Le tendenze politiche liberali stanno scomparendo. Le trattative per l’adesione all’Unione europea si sono bloccate, i legami con nazioni ostili all’Occidente come l’Iran sembrano diventare più stretti, mentre le relazioni con Israele si stanno deteriorando. La scorsa settimana, ad esempio, il primo ministro Recep Tayyip Erdogan ha abbandonato una riunione a Davos, in Svizzera, dopo aver accusato il presidente israeliano Shimon Peres di “uccidere la gente”. Se la Turchia commette errori in questi campi o viene meno al suo impegno nei confronti di organizzazioni transatlantiche come la NATO, non può aspettarsi che il presidente Obama la consideri la sua preferita tra le nazioni musulmane.

E’ utile soffermarsi a considerare la situazione interna della Turchia e gli effetti che ne derivano sulle relazioni con l’Unione europea. Sebbene Ankara abbia avviato i negoziati per l’adesione, il treno su cui era salita si è fermato. L’opposizione della Francia ha sicuramente rallentato il processo, ma non si può negare l’impatto avuto dal discostarsi dell’AKP dai valori liberali. Dopo sei anni di governo di questo partito, tra la gente in Turchia c’è meno libertà e meno uguaglianza, come mostrano vari resoconti e le notizie che ci giungono in materia di libertà di stampa e parità tra uomo e donna. Nell’aprile del 2007, ad esempio, l’AKP ha approvato una legge riguardante Internet che ha portato al divieto di entrare su YouTube, portando così la Turchia ad essere l’unico paese europeo ad aver chiuso l’accesso al popolare sito. Nella lista dell’Onu sul Development Program’s gender-empowerment, la Turchia è slittata dal 63° posto del 2002 – l’anno in cui il partito di Erdogan è salito al potere – al 90°, andandosi a piazzare addirittura dietro l’Arabia Saudita. E’ dunque molto difficile dare credito alle rivendicazioni dell’AKP come partito liberale, quando nei fatti le donne saudite sono considerate politicamente, socialmente ed economicamente più emancipate rispetto alle donne turche.

E ancora c’è da considerare la politica estera. Prendiamo lo status della Turchia di alleato degli Usa nella NATO: a seguito del riavvicinamento di Ankara a Teheran, iniziato nel 2002 e proseguito sino ad oggi, sorgono diversi dubbi sul fatto che la Turchia possa prendere le parti degli Stati Uniti nel gestire la questione nucleare con l’Iran. A dicembre, Erdogan, parlando a Washington ha affermato che “i paesi che si oppongono all’arma nucleare iraniana dovrebbero a loro volta non averne”.

L’impegno dell’AKP a supporto delle posizioni statunitensi è ancor più debole su altre questioni, inclusa Hamas. Durante le recenti operazioni israeliane a Gaza, Erdogan ha messo in dubbio la validità del seggio di Israele alle Nazioni Unite, affermando invece di voler rappresentare Hamas nelle tribune internazionali. Tre giorni prima che gli stati arabi moderati alleati di Washington, compresi Egitto, Giordania e Arabia saudita, si riunissero in Kuwait lo scorso 19 gennaio, per discutere come porre fine al conflitto di Gaza, rappresentanti governativi inviati da Erdogan hanno tenuto un incontro in Qatar con Iran, Siria e Sudan, distogliendo l’attenzione dai moderati. Per quanto possa sembrare incredibile, oggi la Turchia sta assumendo una linea ancor più dura persino dell’Arabia Saudita nei confronti del conflitto arabo-israeliano.

Per anni lo stato turco ha intrattenuto relazioni normali con Israele, con forti legami militari, turistici, culturali e commerciali. I turchi non hanno enfatizzato la religione o l’ideologia nel loro rapporto con lo stato ebraico, e così gli israeliani si sono sentiti a loro agio nel visitare la Turchia, sia per ragioni di lavoro che per semplice piacere. Ma le recenti affermazioni anti-israeliane di Erdogan – il quale ha addirittura sostenuto che Dio punirà Israele – hanno reso quelle buone relazioni solo un ricordo del passato. Lo scorso 4 gennaio, 200.000 turchi si sono radunati sotto una gelida pioggia per augurare morte a Israele; il 7 gennaio una squadra di pallavolo femminile è stata attaccata dal pubblico turco che gridava slogan come “poliziotti musulmani, portateci gli ebrei così possiamo massacrarli”.

L’emergere dell’antisemitismo pone delle sfide anche a quello status speciale che aveva finora contraddistinto la Turchia. Quello antisemita non è un sentimento ben radicato nella società turca – piuttosto i suoi semi sono stati sparsi dalla leadership politica. Erdogan ha inasprito tali sentimenti suggerendo di colpevolizzare gli ebrei per gli attacchi di Gaza e dichiarando come le posizioni assunte dai media controllati dagli ebrei distorcessero i fatti. Inoltre, il 6 gennaio, mentre chiedeva di provare rimorso per le operazioni di Israele a Gaza, il primo ministro ha detto agli ebrei turchi: “Non vi abbiamo accettato nell’Impero Ottomano?”. La comunità ebraica in Turchia, poco numerosa e ben integrata, oggi viene seriamente minacciata: i suoi affari vengono boicottati e in più occasioni è stato riferito di episodi di violenza nei suoi confronti. Si tratta di sviluppi davvero vergognosi in una terra che è diventata la casa di tanti ebrei sin dal 1492, quando gli Ottomani hanno accolto a braccia aperte tutti coloro che fuggivano dall’Inquisizione spagnola. I sultani Ottomani si staranno rivoltando nelle loro tombe.

Lo sgretolamento del liberalismo in Turchia sotto il governo dell’AKP sta allontanando il paese dall’Occidente. Se la politica estera turca si basa sulla solidarietà con i regimi islamisti, appoggiando le loro cause, Ankara non può sperare di essere considerato un serio alleato della NATO. Allo stesso modo, se l’AKP di Erdogan attua discriminazioni contro le donne, rinuncia a relazioni normali con Israele, limita le libertà dei media o perde interesse ad integrarsi nell’Europa, difficilmente potrà guadagnare il favore degli Stati Uniti. E se il partito leader continuerà a servire il suo menù di illiberalismo in patria e di religione all’estero, la Turchia perderà tutte quelle qualità che la rendevano speciale – e sarebbe un vero peccato.

© Washington Post
Traduzione Benedetta Mangano

Soner Cagaptay è Senior Fellow al Washington Institute for Near East Policy. E’ autore del libro "Islam Secularism and Nationalism in Modern Turkey: Who Is a Turk?".