La Turchia gioca pesante e interrompe tutte le relazioni con Israele

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La Turchia gioca pesante e interrompe tutte le relazioni con Israele

06 Settembre 2011

La Turchia gioca pesante stavolta. Il governo turco di Recep Erdogan è in piena escalation diplomatica contro Israele. Se vi fossero stati dubbi (sicuramente sconfinanti in una dimensione più fideistica che non pragmantica) sullo slittamento a Oriente della Turchia, oggi non ve ne sono proprio più. Non è evento nuovo che Ankara stia progressivamente buttando a mare le sue relazioni con il vicino Stato ebraico.

Dopo la “cacciata” dell’ambasciatore israeliano in Turchia la scorsa settimana in concomitanza con la divulgazione del rapporto Palmer dell’Onu, e giustificata formalmente come rappresaglia del governo turco nei confronti del governo israeliano per le mancate scuse che, secondo Ankara, il governo israeliano di Benjamin Netanyahu avrebbe dovuto rivolgere alla Turchia per la morte di otto cittadini turchi e un cittadino americano di origine turca durante l’azione di intercettazione della Mavi Marmara da parte delle forze militari israeliane, oggi siamo all’interruzione unilaterale da parte turca di tutte le relazioni tra i due paesi. Si ricorderà che la nave Mavi Marmara era partita dalle coste turche l’anno scorso con l’obiettivo di forzare il blocco israeliano di Gaza (lo stesso blocco marittimo che la scorsa settimana l’Onu, proprio con il rapporto Palmer sull’incidente della Flottilla, ha definito “legittimo”).

Riferendosi a Israele, il primo ministro Recep Erdogan aveva questa mattina dichiarato a nome della Turchia che “i rapporti commerciali, militari, e i rapporti con l’industria della difesa, saranno sospesi completamente. Questo processo sarà seguito da altre misure”. La formulazione “altre misure” non è chiara, ma certamente il riferimento da parte del premier turco a una sua possibile futura visita a Gaza (in accordo con il governo della giunta militare egiziana), non può rasserenare. L’aumento delle tensioni tra la Turchia e Israele coincidono con l’arrivo al potere del partito Giustizia e Sviluppo, il partito di ispirazione islamica che dal novembre del 2002 è il primo partito in Turchia. Il portavoce del primo ministro turco, contattato nel pomeriggio di oggi dal Wall Street Journal, ha però precisato che l’interruzione delle relazioni commerciali interesserà solamente le relazioni commerciali in materia di difesa.

Ufficialmente le relazioni tra Ankara e Gerusalemme si incrinano con la guerra di Gaza del 2008-2009, quando Israele dà vita ad un’azione di legittima difesa decidendo d’intervenire militarmente contro le brigate islamiste di Hamas ree di dare vita a un costante lancio di missili qassam dalla Striscia verso il territorio israeliano e diretti su civili israeliani. Si ricorderà la sfuriata “indignata” di Recep Erdogan al World Economic Forum di (WEF) di Davos, il 29 gennaio del 2009 (a dieci giorni dalla fine dell’operazione israeliana "Piombo Fuso"), quando durante un confronto pubblico con il capo di Stato israeliano, Simon Peres, il premier turco si lanciò in un’invettiva contro Israele, la quale culminò con il suo abbandono della sala del dibattito.

Da quel non troppo lontano inizio 2009, le relazioni tra i due paesi non si sono mai riprese. Difficilmente però si potrà negare che il governo di matrice islamica di Recep Erdogan non abbia cercato in tutti i modi di attuare una politica di distanziamento da Israele. Durante il conflitto bipolare, la Turchia ha a lungo offerto a Israele una decisiva sponda diplomatica a livello regionale. Le relazioni tra i due paesi hanno goduto per decenni dei buoni uffici degli Stati Uniti e la collaborazione tra Ankara, Washington e Gerusalemme in funzione anti-sovietica ha funzionato degnamente, portando la Turchia e Israele a godere di buone relazioni politiche, militari e commerciali. Con la fine della guerra fredda, il progressivo tramonto della speranza europea per Turchia, e il risveglio politico della regione mediorientale negli ultimi vent’anni, i presupposti delle relazioni turco-israeliane sono apertamente venuti meno.

La Turchia di Erdogan combatte una battaglia egemonica su scala regionale sul largo medioriente (una visione neo-ottomana che abbraccia una vasta area che va dal centro-asiatico Turkmenistan alla balcanica, a maggioranza islamica e ex-ottomana Bosnia-Erzegovina) e che passa anche per una nuova definizione delle relazione turche con la regione araba, a cui etnicamente la Turchia non appartiene, ma che Ankara vuole abbracciare. In questa strategia, Israele è sacrificabile. Non solo è sacrificabile, ma può essere usata dalla Turchia per accaparrarsi qualche triviale favore nell’opinione pubblica islamo-turca e araba in generale.

La possibilità che ciò avvenga è desumibile da una delle sue dichiarazione odierne, quando lo stesso Erdogan ha dichiarato che navi turche “saranno viste sempre più in quelle acque”, riferendosi alle acque territoriali di Gaza, oggi soggette a blocco e controllo israeliano. Un’eventualità che potrebbe condurre a possibili minori “scaramucce” navali con Israele (ad Ankara molti si rendono conto che un conflitto conflitto regionale contro Israele politicamente non se lo può permettere nessuno). Nel frattempo l’ambasciatore turco in Italia, Hakki Akil, ha dichiarato all’agenzia di stampa ASCA che "la Turchia aspetta le scuse ufficiali del governo israeliano per l’attacco" della Mavi Marmara, affermando che esso dovrà avvenire in concomitanza con "il risarcimento delle famiglie dei civili assassinati nonchè la rimozione dell’accerchiamento di Gaza”.  Delle condizioni troppo alte perchè Gerusalemme possa prenderle in considerazione.

L’ambasciatore turco in Italia ha inoltre ricordato le cinque misure declamate dal ministro degli affari esteri turco rispetto alla crisi delle relazioni israelo-turche lo scorso 1 Settembre.

Nel frattempo a Gerusalemme si attende. "Da parte sua Israele non intende rispondere " alle ultime dichiarazioni con cui il premier turco Recep Tayyip Erdogan ha indicato come ‘totale’ il congelamento dei rapporti fra i due Paesi annunciando inoltre l’intenzione di Ankara di accrescere la sua presenza navale nel Mediterraneo orientale in risposta alle mancate scuse israeliane per il sanguinoso abbordaggio dell’anno scorso alla flottiglia di attivisti filo-palestineso al largo della Striscia di Gaza. Lo hanno riferito all’agenzia italiana ANSA fonti governative israeliane, confermando una linea ufficiale improntata a Gerusalemme per fare il possibile per evitare un’ulteriore escalation della crisi. Le fonti hanno precisato che il ministero degli Esteri non ritiene dunque al momento di diffondere alcun comunicato. Nel frattempo il ministro della difesa israeliano, Ehud Barak, intervenuto pochi minuti prima l’intervento di Erdogan, riferendosi all’espulsione dell’ambasciatore israeliano ad Ankara, ha dichiarato "che i due paesi devono agire più con la testa che con la pancia" e che, nell’interesse della stabilità regionale, una ricomposizione delle relazioni tra i due paesi sarebbe stato "un bene per tutti".