La Turchia reclama San Nicola. Per ora il governo tace ma non acconsente
17 Gennaio 2010
Uno spinoso dossier potrebbe presto manifestarsi sulle scrivanie dei ministri Bondi e Frattini, una richiesta irricevibile e, ancor peggio, malamente formulata alla quale si dovrà dare una risposta la più diplomatica possibile ma sostanzialmente negativa, qualora venisse avanzata in sede ufficiale. Il Ministro della Cultura turco, Ertugul Gunay, membro dell’islamista AKP, in un’intervista rilasciata al quotidiano Milliyet nei primi giorni del 2010 ha reclamato infatti la restituzione delle reliquie di San Nicola con parole al limite dell’offesa: “Appena avremo terminato il museo di Demre – l’antica Myra – la prima cosa che faremo sarà quella di chiedere le spoglie di Babbo Natale. Quelle reliquie devono essere esposte qui e non in una città di pirati”. Dove per Babbo Natale è da intendersi San Nicola, nato a Patara in Licia tra il 260 e il 280 d.C. e acclamato vescovo di Myra, dove morì il 6 dicembre 343, e per la città di pirati è da intendersi Bari, dove le spoglie del santo furono traslate nel 1087 da 62 marinai che si impadronirono dei suoi resti nell’antico sepolcro anatolico. Con un lieve anticipo sui veneziani, a dire il vero, che nel 1099, mentre trasportavano i cavalieri della prima crociata, sconsolati per lo smacco subito da parte dei concorrenti adriatici, ritrovarono accanto alla tomba una gran quantità di ossa che attribuirono al santo. Resti che ora riposano, a dire il vero reclamati da nessuno, nella chiesa di San Niccolò al Lido di Venezia.
Non è dato sapere se questa richiesta fosse o meno parte dei temi in discussione al vertice bilaterale Italo-Turco, saltato lo scorso dicembre a causa dell’aggressione subita a Milano dal Presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi, né se in questi giorni sia pervenuta agli uffici del Ministero degli Esteri o del Ministero per i Beni e le Attività Culturali. Tuttavia non è da considerare una boutade giornalistica del ministro Gunay, perché la questione ha dei precedenti. Il 22 aprile del 2006, la Fondazione turca “Santa Claus peace council” annunciò un’iniziativa rivolta all’Onu per riottenere le reliquie custodite a Bari, tramite un’informativa pubblicata sul bollettino della Direzione Generale per la Stampa e l’informazione dell’ufficio del Primo Ministro turco, Recep Tayyip Erdogan. Il presidente della Fondazione, Muammar Karabulut, rese noto che avrebbe richiesto l’attivazione delle clausole della convenzione Unesco del 1970 che prevedono la restituzione di beni culturali illegittimamente sottratti al patrimonio di una nazione. Nevzat Cevik, professore di archeologia alla Akdeniz University di Antalya e responsabile delle ricerche archeologiche a Demre, ha dichiarato inoltre lo scorso 28 dicembre alla BBC che, dopo anni di ricerche, è ormai certo del fatto che San Nicola voleva essere sepolto nella sua Myra.
Ecco allora che l’offensiva diplomatica turca dispiega le sue armi, rivelando al contempo la natura profondamente irrispettosa della richiesta. Le reliquie di San Nicola hanno un profondo significato religioso, che rende Bari uno dei crocevia dell’incontro tra cattolicesimo e ortodossia. Decine di migliaia di pellegrini giungono ogni anno, in particolare dalla Russia, per celebrare la Pasqua ortodossa o semplicemente per adorare le spoglie del Santo. I vertici civili e religiosi della Federazione Russa, a segnare l’importanza che assegnano alle reliquie e alla città che le custodiscono, erano lo scorso 1. marzo a Bari per la consegna, da parte del Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, delle chiavi della podvorie di San Nicola, edificata tra il 1913 e il 1917 grazie al sostegno della principessa Yelizaveta Fiodorvna per accogliere i pellegrini russi e ora donata dallo Stato italiano alla Russia. Tutto questo significa che San Nicola vive nel culto che milioni di persone gli tributano. Non può e non deve essere considerato un pezzo da museo, dove verrebbe vestito di giacca rossa con bordi di ermellino e trasformato in un’attrazione turistica da baraccone a testimoniare la definitiva vittoria del post moderno e della globalizzazione sui valori del cristianesimo.
Appare curioso che la Turchia, da anni in attesa di aderire all’Unione Europea, decida di arrecare all’Italia, uno dei suoi principali sponsor, un’offesa simile con una tale richiesta, foss’anche solo mirata a fare un po’ di pubblicità alla città di Demre. A una simile stoltezza il Governo italiano ha risposto con la saggezza del silenzio. Speriamo sia sufficiente a far desistere il ministro Gunay dai suoi propositi.