La Turchia sarà uno Stato islamico?

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La Turchia sarà uno Stato islamico?

01 Maggio 2007

La Turchia, il principale esempio esistente di paese a maggioranza musulmana con un regime democratico e secolare, potrebbe perdere questo status. Per la prima volta, il suo presidente sarà di un partito islamico. E le prossime elezioni parlamentari, probabilmente, daranno per la terza volta di seguito la maggioranza all’esecutivo filo-islamico.

Il partito della Giustizia e dello Sviluppo (AKP), guidato dal Primo Ministro Recep Tayyip Erdogan, ha designato il suo numero due, il Ministro degli Esteri Abdullah Gul, come candidato alla presidenza. I laici temono che questo sia l’inizio della fine per la Repubblica, così come fu creata da Kemal Ataturk circa 75 anni fa.

Se la Turchia ha già avuto per due volte un Primo Ministro filo-islamico, il presidente è sempre stato visto come il baluardo del sistema tradizionale. Il presidente, tutto sommato, ha un ruolo importante in Turchia. Nomina il Primo Ministro, il capo delle forze armate, i rettori universitari e i membri della Corte Suprema del paese.

Tutti sanno che dopo il presidente, l’unica istituzione a salvaguardia dello status quo rimane l’esercito turco, che in passato è intervenuto più volte per deporre il governo.

Sicuramente, Gul ha promesso di rispettare i valori del secolarismo e della democrazia dello stato, di perpetuare la buona relazione della Turchia con Stati Uniti ed Israele e di  continuare a spingere per l’entrata nell’Unione Europea. Alcuni dei suoi provvedimenti passati, tuttavia, preoccupano i laicisti. Tra questi, l’incontro di Gul con il leader palestinese di Hamas, Khaled Mashaal, nella sede centrale dell’AKP ad Ankara nel 2006, nonché la proposta di una legge per criminalizzare l’adulterio fatta da Erdogan nel 2004.

Molti laicisti, incluso il comandante delle forze armate, credono che Gul ed Erdogan stiano solo facendo gli onori di facciata al secolarismo. Dopo tutto, Erdogan una volta ha detto «Per fortuna sono un servo della Shari’a (la legge islamica)» e «trasformeremo tutte le nostre scuole» in scuole islamiche. Il fatto che due terzi degli elettori turchi abbiano votato per partiti laici nelle ultime elezioni indica l’estensione di questo orientamento.

Nel fondare la Repubblica turca nel 1923, Ataturk proibì ogni attività pubblica religiosa ed impedì alle donne di indossare il velo all’interno delle istituzioni statali: una legge ancora oggi in vigore. Negli anni ’50, il Partito Democratico allentò le restrizioni e l’esercito intervenne, rovesciandone il governo. I partiti islamici sono stati spesso ridotti al silenzio dai tribunali o dai colpi di stato.

La crescita del potere politico islamico è correlata ai cambiamenti economici e sociali avvenuti nel paese. Ataturk fece della Turchia uno stato molto centralizzato, in modo da incoraggiare la modernizzazione e lo sviluppo. Il centro, nell’esercitare il suo potere di governo, ha spesso discriminato quella che in Turchia è chiamata “la periferia”, inclusi i piccoli e medi imprenditori, costituiti per la maggior parte da pii musulmani dell’Est. Durante gli anni ’80, le riforme economiche incentrate sul libero commercio e sulla privatizzazione hanno avvantaggiato questo gruppo, che in larga parte ora sostiene  il presente regime.

Un altro fattore importante è stata la massiccia immigrazione nelle grandi città di persone provenienti dai villaggi del centro e dell’est del paese. Necmettin Erbakan – leader del Partiro Islamico estremista e Primo Ministro nel 1966 fino alla sua deposizione da parte di un colpo di stato – vedeva questi gruppi negletti come elettori-chiave. Il suo partito aiutò queste persone fornendo loro generi di prima necessità, come farina e carbone, ed offrendo carità in cambio di voti. In assenza di un efficace meccanismo di welfare, questa strategia funzionò.

Altre tre cause hanno portato il Partito Islamico al potere: una grave recessione, l’incompetenza e le divisioni dei  partiti laici e, infine, una nuova generazione di politici islamici che sanno come dipingersi moderni ed onesti.

L’elezione di Gul potrebbe dare alla Corte Costituzionale, fortezza del secolarismo, l’opportunità di minare il governo alla base, così come portare l’esercito al colpo di stato. Queste sembrano le uniche alternative, dato che una mezza dozzina di partiti laici di centro-destra e sinistra non riescono a lavorare insieme, né a trovare leader carismatici in grado di contrastare quelli che ora governano la Turchia.

Qualsiasi risultato che porti alla polarizzazione ed allo scontro è molto pericoloso per la Turchia. Anche se la guerra civile sembra improbabile, un periodo di instabilità e di conflitto potrebbe distruggere i risultati raggiunti in vista dell’entrata nell’Unione Europea e far regredire il paese, nonché il fragile rientro da una delle crisi economiche peggiori della sua storia.

In un’area già assediata dalla sfida islamica e dal terrorismo, inoltre, un duro scontro politico interno potrebbe scatenare quella violenza che oggi affligge tanti paesi. Per scongiurare questo pericolo, ci sarà una gran pressione sui politici filo-islamici affinché evitino le provocazioni. Nonostante questo, a lungo termine, l’evidenza della loro volontà di trasformare la Turchia in uno stato islmista è destinata ad essere esplosiva.

In ogni caso, la Turchia che il mondo è abituato a conoscere, e a considerare come esempio di successo, sta affrontando il periodo più pericoloso da generazioni.

 

Linda Michayd-Emin è ricercatrice al GLORIA, Global Research for International Affaire Center.