La Turchia va verso una nuova costituzione

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La Turchia va verso una nuova costituzione

12 Luglio 2007

Il 5 luglio la Corte Costituzionale turca ha dato il via libera a un referendum sull’elezione diretta del presidente. Questa decisione è una vittoria per il primo ministro, Recep Tayyib Erdogan, che nonostante i tentativi non è riuscito finora a imporre la figura di un presidente d’ispirazione islamica. La Corte Costituzionale è sempre stata sostenitrice della corrente secolare in Turchia, ma il fatto che adesso si sia schierata con il governo ha sorpreso l’opposizione laica. L’approvazione del referendum, inoltre, dà una spinta a Erdogan e al suo partito Giustizia e lo Sviluppo (Akp) in vista delle elezioni parlamentari che si terranno il 22 luglio.

La Turchia attraversa oggi una fase che potrebbe condurre a cambiamenti fondamentali nell’assetto costituzionale. Lo scontro tra secolaristi e islamisti si svolge su due fronti, uno politico, l’altra istituzionale. Nelle elezioni del 2002, l’Akp di Erdogan ha raggiunto il 34 per cento dei voti e questo risultato gli ha garantito ben 363 seggi in parlamento sui 550 complessivi. Il numero dei seggi è sproporzionato rispetto al numero dei voti, perché il sistema elettorale turco prevede una soglia del dieci per cento per entrare in parlamento. La posizione dominante del partito filo-islamico ha preoccupato le Forze Armate turche, garanti della costituzione secolare del paese, ma a parte qualche polemica con i generali, Erdogan ha potuto governare con tranquillità. La situazione, tuttavia, potrebbe cambiare se, come probabile, l’Akp dovesse riconfermarsi come primo partito. Gli ultimi sondaggi lo danno a un percentuale del 42 per cento dei consensi.

Ancora più spinosa è la questione della presidenza, l’elemento cruciale nella contrapposizione tra secolaristi e islamisti. Nel mese di aprile, l’Akp aveva avanzato la candidatura del ministro degli Esteri, Abdullah Gul, approvata poi dal parlamento. Gul sarebbe stato il primo presidente di un partito non-secolare nella storia della Turchia moderna, ma la Corte Costituzionale ha bloccato la sua nomina per ragioni formali. Così Erdogan ha proposto l’elezione diretta del presidente, in modo da sfruttare l’ampio consenso popolare di cui gode il suo partito e consegnargli la più alta carica dello stato per molto tempo a venire. L’attuale presidente, Ahmet Necdet Sezer, ha posto il veto sulla proposta di Erdogan, ma la maggioranza in parlamento ha di nuovo approvato l’iniziativa del premier lasciando a Sezer solo la possibilità di rivolgersi alla Corte Costituzionale. Questa, da par suo, ha respinto la richiesta del presidente e ha dato il via libera a un referendum costituzionale. Il referendum si svolgerà in autunno e nelle previsioni sarà la proposta di Erdogan a vincere.

Il mandato di Sezer scadrà prima del referendum e il suo successore non sarà certamente scelto dal popolo perché la nuova regola verrà applicata solo a partire dalle elezioni presidenziali del 2014. Si tratta, ciononostante, di una svolta istituzionale di fondamentale importanza perché mette in discussione il carattere secolare dello stato turco. Anche se il presidente ha meno poteri del primo ministro, la sua figura non è affatto cerimoniale. Il presidente nomina i giudici della Corte Costituzionale ed è il comandante supremo delle Forze Armate. Nel caso di un presidente appartenente a un partito islamico, l’adozione di una politica islamista in Turchia non incontrerebbe più freni istituzionali. I vertici delle Forze Armate sono consapevoli dei rischi corsi dall’assetto secolare del paese e hanno fatto capire di essere disposti a intervenire direttamente per impedire una tale deriva.  E questa minaccia non è tutto fuorché priva di fondamenti, visto che già più volte in passato i militari turchi hanno dato vita a colpi di stato proprio per preservare la laicità dello stato. Nel contesto attuale, l’ipotesi di un golpe è poco probabile visto che la Turchia sta cercando di entrare nel’Unione Europea e che una presa del potere da parte dei militari contro un governo democraticamente eletto allontanerebbe Ankara da Bruxelles quasi irrimediabilmente. Gli Stati maggiori, pertanto, difficilmente si assumeranno un simile rischio.