La Ue in ritardo ma ora è con noi

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La Ue in ritardo ma ora è con noi

24 Settembre 2015

Caro direttore, ieri è successa una cosa rara ed importante: l’Europa non ha discusso, ha deciso. Ieri è successa un’altra cosa importante e rara: l’Europa ha deciso in favore dell’Italia. Non lo ha fatto perché è stata buona, lo ha fatto perché avevamo ragione noi. Avevamo visto giusto, avevamo visto lungo, avevamo visto prima sia dei singoli partner continentali che della stessa Unione. Una nota amara: ha capito tardi, l’Europa; ha deciso tardi. Poteva decidere due anni fa. Il tre ottobre, ricorderemo il secondo anniversario della strage di Lampedusa. Oltre trecento morti annegati lì, sotto i nostri occhi, al di qua del confine marittimo meridionale europeo. Un’esperienza per me, nato ed eletto da quelle parti, doppiamente scioccante: trecento corpi dentro trecento sacchi allineati in un freddo hangar dell’aeroporto. In verità, in un sacco, di corpi ce n’erano due, quello di una mamma e del suo bimbo abbracciato a lei in un «per sempre» di morte.

 

È da quel giorno che bisogna partire per capire tutto il più profondo significato delle nostre ragioni. Quel giorno dall’Europa arrivarono, al governo italiano, numerosi attestati di solidarietà che paradossalmente marcavano la distanza tra noi e loro, perché la solidarietà si dà a chi è altro da te, non la dai a te stesso per qualcosa che ti riguarda. E l’Italia, per l’Europa, era «qualcos’altro». Non potevamo stare fermi. Non intendevamo pietire alcunché. Dovevamo agire, dovevamo farlo presto, dovevamo farlo noi. Da soli. Si chiamò Mare nostrum e fu la più grande operazione umanitaria della storia della Repubblica. Centomila vite salvate, purtroppo non tutte, da donne e uomini in divisa che ci hanno reso fieri della nostra bandiera. Abbiamo fatto fino in fondo l’Italia: Paese di civiltà del diritto, fondatore dell’Europa, protagonista nella tutela dei diritti umani. Abbiamo dato una grande risposta e un grande esempio. Per quella operazione ho subito una campagna di denigrazione che ha sfiorato il dileggio, quasi monomaniacale da parte di alcuni. E mentre questi guardavano i sondaggi, noi salvavamo vite.


L’Europa faticava a capire quel che dicevamo, mentre accettava di subire la lezione per quello che facevamo, perché così non doveva fare niente. E non si curava delle nostre denunce, dei nostri avvisi: perché era evidente che l’immenso flusso di chi scappava dalle persecuzioni e dalla violenza non avrebbe mai potuto essere assorbito solo dalla rotta del Mediterraneo centrale, che porta dritti dritti a Lampedusa-Sicilia-Italia-Europa, e che di fronte a milioni di profughi in fuga dalla Siria era naturale che risorgesse la rotta balcanica (che peraltro ha meno rischi di un viaggio via mare), praticata dagli uomini del contrabbando e dunque nota ai trafficanti di esseri umani. Ci volle del tempo e altri drammatici naufragi perché l’Europa iniziasse a capire che avevamo ragione e che non poteva più restare ferma. È così che è nata l’operazione Triton, gestita da Frontex, prima esplicita ammissione, da parte dell’Unione, che quella a trenta miglia da Lampedusa è frontiera europea. È così che abbiamo chiuso Mare nostrum. Ma l’impasto tra vecchie regole comunitarie e nuovi egoismi impedì ancora ai nostri partner di comprendere che il principio di Dublino non era più sostenibile, che l’obbligo di trattenere tutti i migranti, da parte del Paese di primo ingresso, era stato concepito in un altro contesto storico e per differenti finalità e che, pertanto, considerare l’equa distribuzione dei profughi non era un tentativo eversivo di cambiare il gioco. Ancora una volta ci toccò ascoltare dall’Europa un corale «son fatti vostri», ma noi continuammo a salvare vite, accogliere profughi, arrestare scafisti, sequestrare le loro imbarcazioni, rimpatriando o provando a rimpatriare – tra mille difficoltà – chi profugo non era, ma era un irregolare.

 

Nel frattempo, l’operazione Frontex andava avanti a spese dell’Europa, sgravando completamente il nostro bilancio da quel costo (cento milioni circa in un anno) e proseguendo il lavoro in mare sul modello italiano. Finché non arrivò un’altra strage nel Canale di Sicilia e altri funerali; stavolta tutti a Malta, vestiti di scuro, di fronte a bare prive di nome, ma non per questo prive di dignità. A quel punto, il nostro governo chiese e ottenne un vertice straordinario dei capi di Stato e di governo europei. Da quel giorno a oggi: l’Europa ha dato il via libera alla distribuzione dei profughi tra tutti i Paesi dell’Unione. Il nostro principio è passato, il loro regolamento è saltato. Dublino è entrato definitivamente in crisi. I profughi non stanno più nel Paese di primo ingresso, ma vengono ricollocati nei 28 Stati. Avevamo provato ad allentare questi vincoli e in parte ci eravamo riusciti. Avevamo provato a spiegarne l’irragionevolezza e la non attualità, ma avevamo fallito. Più di noi, poterono i morti. Il cuore e la ragione mi suggeriscono di pensare che ciò è accaduto per evitarne di altri.


Ora che la ragione ci è stata riconosciuta, si apre un’altra sfida per l’Europa: quella di rimpatriare gli irregolari, sottoscrivendo accordi di riammissione con i Paesi africani da cui partono, incentivandoli economicamente, condizionando i finanziamenti della cooperazione con l’Africa alla collaborazione di questi Paesi nelle operazioni di rimpatrio. Io ti aiuto se tu mi aiuti. Intanto, ieri, il faticoso negoziato sui «numeri» si è chiuso bene per noi, con il retrogusto amaro di un dubbio: quel passo avanti, rispetto allo stop precedente, è avvenuto per quei morti scoperti dentro un Tir in Austria o per la foto di un bimbo restituito dal mare a una spiaggia e raccolto da un uomo in divisa? I nostri valori, i nostri principi, il nostro rispetto per la vita umana hanno vinto sugli egoismi e sulle ansie elettorali. Siamo consapevoli che ogni ondata di profughi sarà sfruttata dai razzisti anche di casa nostra, ma noi siamo certi che gli italiani non si volteranno mai dall’altra parte perché, a chi sta morendo in mare, tu porgi la mano di un nostro marinaio o di una nostra poliziotta e lo salvi. Solo dopo, gli chiedi se è un profugo o un irregolare. Se è profugo lo accogli, se è irregolare lo rimpatri. Questo stiamo facendo. Questo fa chi è al governo di un grande Paese come il nostro. Disinteressandosi dei voti, ma collocando l’Italia dalla parte giusta della Storia.

 

(Tratto da Corriere della Sera)