La vacanza è finita e il viaggio di ritorno ha il sapore di un Alka Seltzer

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La vacanza è finita e il viaggio di ritorno ha il sapore di un Alka Seltzer

24 Agosto 2009

E’ giunta l’ora del viaggio al contrario, le stesse strade da ripercorrere ma in direzione inversa.

Tutto è opposto rispetto a quando siamo partiti.

Il traghetto lo prendiamo quando la notte si è mangiata il giorno ormai da un po’.

Il mare è mosso e nero, ci scattiamo un’altra foto sul ponte, nella stessa posizione “titanicheggiante” dell’andata, ma anche le facce sono opposte rispetto a quelle che avevamo due settimane prima.

I sorrisi sono tirati, come la nostra pelle abbrustolita dal sole.

Le mie spalle iniziano già a spelarsi e quando tutta l’abbronzatura se ne sarà andata, la Sicilia sarà solo un ricordo lontano.

Malinconia. Tanta malinconia. Mi ritrovo a canticchiare Tenco. “Vedrai, vedrai… vedrai che cambierà…”.
Il viaggio di ritorno ha il sapore di un Alka Seltzer.

Abbiamo fatto una scorpacciata di cose in queste due settimane… Abbiamo mangiato pesci e dolci, divorato luoghi e strade, assaporato mare e cielo, masticato gelosia e amore.

Ora è il momento di digerire e metabolizzare.

Parliamo poco, lasciamo che siano i nostri corpi a farlo per noi: le mani si sfiorano, si toccano, si accarezzano. Gli occhi si cercano, si sorridono, si chiudono.

Poi viene l’autostrada, la macchina corre veloce, macina kilometri e buio.

Sono quasi le 3 del mattino quando il mio cellulare vibra e poi trilla. Una breve scampanellata mi avverte che mi è arrivato un messaggino.

“Siete in viaggio? Fammi uno squillo quando arrivate a Roma. Una sera di queste siete invitati a cena da me. Un bacio, mamma.”.

Lo rileggo un’altra volta, incredula. Non è possibile! Eppure sembra vero. Spengo e riaccendo il cellulare, il messaggio è ancora lì, non stavo sognando.

Lo rileggo ancora e ancora e ancora, a voce bassa.

“… siete… arrivate… siete invitati…”.

“Cosa dici, Ciccia?”.

“Niente… è mia mamma, mi ha scritto un sms. Parla al plurale!”.

“Cioè, tipo Mago Othelma? Col plurale majestatis?…”.

Rido forte forte.

“No polpetta, parla al plurale nel senso che parla con me ma anche con te. Ci invita a cena una sera. Ci andiamo, se ti va…”.

“Certo che mi va, amore. Sono contento. Cucina bene tua madre?”.

“Divinamente! Fa dei primi insuperabili, e quando cucina il coniglio i vicini si fanno invitare a pranzo, è una cosa irresistibile. Per non parlare dei timballi e dei polpettoni, amore!”.

Sono un fiume in piena, gli racconto i menù di tutti i cenoni di Natale che mi ricordo e, parlando del cibo, gli parlo anche di lei, con gli occhi umidi e una gioia ritrovata nel cuore.

Poi mi addormento, stremata.

Quando riapro gli occhi il sole sta sorgendo su Roma.

Bacio il mio fidanzato pilota, mi stiracchio e penso che tra poche ore devo andare a riaprire il negozio.

Chissà Genia, tra pochi giorni si “sposa”!

Entriamo in casa, apro le finestre, Mario si butta sul letto e si addormenta come un sasso.

Io sono iperattiva, disfo i bagagli, faccio una lavatrice e preparo il caffè.

Poi, seduta al tavolo di legno della cucina, riapro il cellulare con un po’ di timore.

Il messaggio è ancora lì.

Metto due cucchiaini di zucchero nel caffè, lo giro, prendo il cellulare e le faccio uno squillo.

Non mi basta.

“Siamo a casa. Grazie per l’invito a cena, mamma. Veniamo volentieri! Ti voglio bene…”.

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