La vera campagna libica inizia ora e la vittoria del Cnt non è affatto scontata
27 Ottobre 2011
"Inter arma enim silent leges", tacciono infatti le leggi in mezzo alle armi, diceva il nemico di Cesare. Era vero più di duemila anni fa, è stato vero nella campagna libica. Come noto, la missione Nato in Libia finirà tra quattro giorni. Il tiranno è morto. La Libia è libera. Tutto vero? La realtà è tutta un’altra. Il difficile corso libico inizia ora. Molte, moltissime le sfide.
Qualche strascico del ‘trattamento Mussolini’ riservato a Muammar Gheddafi (Charles Krauthammer stavolta ha esagerato) c’è ancora. E forse ce ne sarà ancora a lungo. La famiglia Gheddafi ha fatto sapere ieri, attraverso il proprio legale francese in comunicazione su Europe 1, di voler sporgere denuncia contro la Nato per ‘crimini di guerra’ al tribunale internazionale de l’Aia, contestando la maniera in cui è stato attaccato il convoglio di Muammar Gheddafi.
La linea d’accusa dell’avvocato dei Gheddafi in Francia, Marcel Ceccaldi, è la seguente: gli elicotteri francesi sotto comando Nato (peraltro presuntamente imboccati dalla Bnd tedesca sull’ultimo nascondiglio sirtino di Gheddafi), attaccando la colonna di veicoli tra i quali viaggiava il raìs libico, avrebbero contravvenuto ai caveat della missione, ovvero quello di aprire il fuoco solo a protezione dell’incolumità fisica di civili.
Dato che un convoglio in fuga non costituisce di per sé un’espressa minaccia alla sicurezza di alcun chi, l’attacco aereo contro il convoglio sarebbe stato illegale. Si dirà "cavilli!", ma tant’è. Burocrati come sono alla Corte penale internazionale, non è dda escludere che vi possa essere un giudice a l’Aia. Boutade.
Sarebbe interessante dimostrare che si dimostrasse la veridicità di una tesi che circola in queste ore, ovvero che Parigi e Londra abbiano deciso di uccidere Muammar Gheddafi. La tesi, raccontata ieri dal Foglio, vorrebbe che ‘mercenari’ ex-agenti dello Special Air Service britannico e della divisione operations spéciales francese siano stati usati dai governi di Sarkozy e Cameron per uccidere Muammar Gheddafi una volta fatto uscire dalla scorta del convoglio.
L’altra notizia di ieri che riguarda i vinti, è che Saif al-Islam Gheddafi, l’ultimo con le armi in mano della famiglia, si troverebbe in Niger, almeno secondo quanto riporta l’agenzia cinese Xinhua. E’ molto probabile che il Consiglio nazionale di transizione (Cnt) libico stia cercando di offrire proprio a Saif al-Islam, l’incolumità personale in cambio di una sua resa nella mani del tribunale internazionale de l’Aia.
Ufficialmente la notizia riportata dal network al-Arabiya vorrebbe che un alto esponente del Cnt sia stato contattato dall’entourage di Saif al-Islam Gheddafi, per ottenere l’immunità in cambio della sua spontanea consegna.
E’ plausibile ritenere che il figlio di Gheddafi non abbia contattato il Cnt – se davvero fosse in Niger perché dovrebbe – ma che tutta l’operazione sia un ben congeniato leakage per far arrivare un messaggio direttamente all’interessato: “Costituisciti, dicci dove sono i soldi, e ti salviamo la vita mandandoti a l’Aia”. Illazioni, si dirà. Forse, ma di quelle che make sense, che forse un po’ di senso ce l’hanno. Per il momento al CPI de l’Aia non c’è alcuna conferma su una presunta disponibilità alla resa da parte del figlio del defunto raìs libico.
Comunque vadano le trattative con i superstiti del clan, tutti coloro che credevano che con la fine, o addirittura la morte, di Muammar Gheddafi, tutti i guai della Libia si sarebbero dissolti per magia, devono obtorto collo riconoscere la fallacia dell’assunto.
L’accanimento su ‘alcuni’ Gheddafi ha a che fare, in primis, con la necessità del Cnt di accreditarsi come unica forza governante in Libia e in seconda battuta, riguarda la tracciabilità dei conti bancari di cui i Gheddafi dispongono ancora le chiavi.
Le casse della Libia sono vuote, e prima che gli ‘scongelamenti’ internazionali dei fondi e delle partecipazioni libiche si traducano in capacità di spesa per Tripoli, ne passerà di tempo. E di tempo quelli del Cnt ne hanno paradossalmente poco.
Il Cnt di Mustapha Abdel Jalil e di Mahmoud Jibril ha terribilmente bisogno di soldi per far fronte alle emergenze sul terreno. Ci sono i servizi sanitari per i feriti della guerra; c’è la ricostruzione delle infrastrutture per i servizi pubblici di base (elettricità, acqua, strade). E tanto altro ancora. Oltre alle finanze, c’è il controllo del territorio: il Cnt è chiamato a riacquisire il weberiano ‘monopolio della coercizione della forza legittima’ sull’intero territorio libico, o più prosaicamente, il controllo della situazione.
Sin dalla conquista di Tripoli da parte delle milizie in unione di intenti con il Cnt, la capitale libica è stata occupata, così come le città di Misurata e Zentan, da milizie e gruppuscoli militari che in più di un’occasione hanno messo in discussione l’assoluta legittimità politica del Cnt. Sono ormai due mesi che occupano Tripoli, e nonostante l’insistenza da parte proprio del Cnt alla deposizione delle armi, ciò ancora non è avvenuto.
In questo senso deve essere interpretato il ritardo nella costituzione di un governo di transizione libico, giustificato dal Cnt con la necessità di raggiungere la ‘liberazione’ prima della costituzione di un governo, è stata più una presa di tempo per neutralizzare o trattare con molte milizie ‘ribelli’, poco inclini a cedere le armi e a rimettersi nelle mani del Cnt.
Non è da escludere, poi – solo per fare un esempio .- che le recenti sortite pro-sharia del presidente del Cnt, Mustafa Abdel Jalil – peraltro macabramente salutate ieri dal ministro degli esteri iraniano, Ali Akbar Salehi -, siano dirette più al pubblico libico e magari a riottosi gruppuscoli di matrice islamista ancora in armi, che all’opinione pubblica transatlantica, immediatamente preoccupatasi.
La composizione politica di questi gruppi armati che occupano le maggiori città libiche è molto variegata. Ci sono plurime linee di demarcazione a distinguerne l’estrazione. Certamente linee di natura geografica e morfologica: Cirenaica o Tripolitania, deserto, montagne, coste; di natura morale (valga l’imprecisa dicotomia secolarizzati – islamisti); oppure di natura ‘etnica’: berberi e arabi. Una galassia complessa, armata e, a oggi, difficilmente componibile.
E poi c’è la ‘grana’ di quelle tribù che avevano prestato fedeltà al raìs durante la guerra civile degli ultimi mesi. Anche questo è un nodo che rende molto delicate le prime mosse di un Cnt non ancora padrone in casa propria. Qualora non dovesse essere in grado di riprendere il controllo della situazione, esiste il pericolo che la Libia si trasformi in un piattaforma jihadista e d’emigrazione. Un problema che l’Italia si troverebbe a dover subire immaginiamo sola.
Senza scordare ‘il’ problema dei problemi: la produzione di petrolio. Prima dell’inizio delle ostilità, la produzione libica era di 1,7 milioni di barili al giorno, su una produzione giornaliera mondiale di 90 milioni. Le ostilità sul territorio libico e l’intervento Nato hanno fatto cadere la produzione a 400 mila barili al giorno.
La possibilità che la produzione dai giacimenti libici torni in fretta ai livelli pre-bellici è molto bassa. Boone Pickens, BP Capital, ex-ceo della compagnia petrolifera texana Mesa Petroleum, di recente ospite di Neil Cavuto sulla Fox News ha declinato il problema in questo modo: “Storicamente i giacimenti di petrolio maturi non tornano ai livelli di produzione che avevano prima che venissero chiusi”.
Se così fosse, la cifra di 1,7 milioni di barili giornalieri raggiunti dal regime di Gheddafi sarebbe solo un miraggio irriproducibile. Un problema in più nella già lunga lista di nodi che il futuro (e non ancora costituito) governo libico si troverà presto ad affrontare.