La vera colpa del Sole e degli industriali italiani è di non aver capito che il mondo cambia
15 Marzo 2017
L’inchiesta milanese sui conti del gruppo Sole 24 Ore, con il management che si difende dalla accusa di false comunicazioni sociali, la direzione del giornale dimissionaria, una mazzata sulla più importante testata economica nazionale, ci dice molto non solo della crisi che sta vivendo il giornalismo italiano, ma anche sul film, un b-movie per essere franchi, andato in onda nell’ultimo anno: quella rappresentazione bislacca della realtà che intanto si stava modificando radicalmente sotto gli occhi di tutti.
L’establishment, non solo quello italiano, ha completamente sottovalutato la crisi in corso della globalizzazione, ha scommesso contro la vittoria di Brexit, di Trump, del No al referendum renziano, diventato, quest’ultimo (il Sì, #BastaunSì, ricordate?) uno dei mantra di Confindustria e del suo presidente, Boccia, che insieme al giornale degli industriali hanno predicato l’apocalisse in caso di una sconfitta dell’ex premier alla consultazione popolare.
Poi dici perché i giornaloni non vendono, quelli di carta perdono pagine e quelli sul web non sfondano con le vendite online. Ma come potrebbero se non riescono a capire o almeno in parte ad anticipare il cambiamento?
Questa stampa che non ne ha azzeccata una, ma bercia sulla “fake news” messe in Rete dalla concorrenza, è la stessa venuta a insegnarci le virtù del rigore e della stabilità dei conti pubblici, anche se adesso i conti deve farli davanti ai pm. E speriamo di non scoprire che il quotidiano degli imprenditori italiani riusciva a stare sul mercato funzionando solo un po’ meglio di qualche partecipata o municipalizzata.
Tutto questo, ha scritto l’Huffington italiano, non è che il frutto e il riflesso del declino del capitalismo nostrano, se è vero che la produzione industriale in questo inizio del 2017 è allo sbando, male come non mai negli ultimi anni. Qualcosa questa vicenda vorrà pur dire su queste organizzazioni, sugli ordini, le lobby e le caste romane, “che nel rapporto con la politica cercano di coprire la propria fragilità. Che è la fragilità di un capitalismo con poche idee, progetti, capacità di rischio e di innovazione”, come scrive l’Huff.