La vera guerra gli iraniani oggi la combattono contro Ahmadinejad

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La vera guerra gli iraniani oggi la combattono contro Ahmadinejad

Na Ghaze, na Lobnan. Janam fadaye Iran – "No Gaza, no Libano. Sacrificherò la mia vita per l’Iran" gridavano i giovani dell’Onda Verde nel 2009. “Fuck Iran” pronunciano sottovoce oggi, senza più speranza per un Paese che li vede costretti a vivere sotto sanzioni, senza lavoro e senza sogni per il futuro. Chi sono i ragazzi che la rielezione di Ahmadinejad ha portato in piazza? In migliaia hanno manifestato nelle maggiori città del Paese denunciando brogli elettorali; chi non è finito in carcere è rimasto ferito negli scontri con la polizia o brutalmente ucciso. Per settimane si è parlato di quell’Onda Verde che ha intasato Teheran facendo sperare in una nuova rivoluzione. La repressione e la censura hanno provato a tenerli a bada, ma i ragazzi di Enghelab Street non si sono fermati. Hanno stretto i denti, perché la libertà ha un prezzo da pagare e il conto si salda un poco per volta.

 

“Siamo scesi in piazza perché non possiamo guadagnare con il nostro lavoro”. Poche parole quelle di Azade, una giovane regista di una compagnia teatrale a Teheran, ma sufficienti a raccontare il mondo del teatro in Iran. Dopo le elezioni, la pressione politica è esplosa, e alla compagnia di Azade non è dato il permesso di inscenare pubblicamente gli spettacoli perché non conformi ai diktat ministeriali. L’adattamento del “Dr. Kheal” della cubana María Irene Fornés è la sua ultima fatica: alla figura dell’ottuso professor Kheal si sovrappone quella del presidente, al quale non vengono risparmiate frasi celebri e divertenti tic nervosi. “Non potendoci esprimere liberamente – continua Azade – siamo costretti ad auto-censurarci facendo ricorso a simbolismi letterari. Mancano inoltre buoni teatri dove lavorare e il budget che il Governo concede per quest’attività è passato da 24 a 3 milioni di dollari l’anno. Ci troviamo quindi a provare gli spettacoli a casa, senza spazio e acustica adeguati”. “Nessuno vive di teatro oggi in Iran – sottolinea il collega Cove – ma è nostro dovere parlare con gli strumenti che abbiamo e valicare il silenzio imposto dalla censura”.

Non tutti i ragazzi però sono schierati contro il Governo di Ahmadinejad: Naim, Abdulla, Said e Hamed sono quattro amici di Babol, villaggio sul Mar Caspio. “Ho scelto di votare per il meno peggio – dichiara Abdulla – Ahmadinejad è stato il primo presidente ad avere il coraggio di dire cose che altri non si sarebbero mai permessi. E’ stato anche il primo a far visita nei villaggi, istituire la Salame Edalat (una tassa generale usata per aiutare i più poveri, Ndr), portare denaro per asfaltare le strade e comprare i bidoni della spazzatura. Non credo agli imbrogli elettorali raccontati da Vox of America: ho visto la situazione qui, al mio villaggio dove tutti hanno votato per Ahmadinejad, e sono certo che lo stesso è accaduto nel resto del Paese perché l’Iran è costituto per la gran parte da villaggi”.

La sfiducia nei confronti della politica è totale: “Non sono d’accordo con l’intero sistema – commenta Said – in 30 anni di Governo abbiamo cambiato 7 presidenti e nessuno ha saputo fare qualcosa anzi, le cose sono andate sempre peggio. Il vero problema è che i cambiamenti non dipendono dal presidente in carica ma da qualcosa che sta più in alto e decide le regole del gioco. Prima della rivoluzione – continua – non c’erano problemi di lavoro e, come sempre accade quando la qualità della vita migliora, si comincia a pensare al superfluo e scoppiano le rivolte. Questo regime non vuole che ciò si ripeta. Per quale altro motivo altrimenti l’eroina sarebbe tanto a buon prezzo? Se siamo tutti fatti non siamo pericolosi”.

Accanto alle proteste degli studenti, alle dimostrazioni di lavoratori stretti dai continui aumenti dei prezzi dei beni di prima necessità, c’è chi tenta il tutto per tutto e decide di andarsene via. Per sempre. Come Toeh, giovane pittrice, figlia di Maysami Lotfola, leader dei Mujaheddin pre-rivoluzionari e attuale redattore del giornale Cheshm Andazeh Iran. “La mia famiglia è così mischiata alla politica – spiega fumando a bocca l’ennesima sigaretta – che io non posso cambiarla come si fa con i vestiti. Il nonno era un ayatollah della classe di Khomeini prima di diventare ambasciatore in Siria; mia madre è una scrittrice ed editorialista mentre papà ha settant’anni e prima essere incarcerato durante la rivoluzione del ’79 era un ingegnere petrolifero. Quando è stato rilasciato non vedeva più e non aveva più la mano destra. Ha fondato un giornale di opposizione, è stato bravo certo, ma non ha mai visto un mio quadro, e non ha mai visto me, come sono fatta, se gli somiglio..”.

Dell’infanzia, Toeh, non serba bei ricordi, solo tanta tensione tra le mura domestiche ed un gran senso d’inadeguatezza nei confronti degli amici “normali”. “Voglio una vita diversa, lontana dalla politica. Non voglio finire come mio padre: quando passeggia per strada d’un tratto si ferma e si mette a ricordare i compagni che non ci sono più. Lui è ottimista, qualcosa cambierà – dice – ma io no. Non vedo alternative. Quando non si può scegliere, quando la vita è fatta di imposizioni non condivise allora non si può far altro che scappare”.

Due anni dopo la rielezione di Ahmadinejad, la fila di iraniani alle ambasciate che aspettano il sospirato visto per scappare è ancora più lunga. Dopo aver soppresso nel sangue la ribellione, il regime ha stretto le maglie del controllo e della repressione. Con una crisi economica galoppante che colpisce le fasce media e bassa della popolazione, un isolamento internazionale che provoca ulteriori sanzioni e un peggioramento della qualità della vita, gli iraniani si sentono il fiato addosso dei cannoni e dei bombardieri occidentali. L’abbattimento di un drone Usa è stato solo l’ultimo episodio di una guerra di nervi fra il regime e il "nemico Satana" a stelle e strisce. E’ difficile prevedere se le minacce si trasformeranno in realtà bellica, è sicuro però che gli iraniani si trovano, e non da oggi, a combattere una guerra in casa. Contro il regime e la sua oppressione. (Terza puntata, fine)