La vera manovra è quella per far fuori Napolitano

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La vera manovra è quella per far fuori Napolitano

10 Febbraio 2014

Le "rivelazioni" di Alan Friedman colpiscono per diverse ragioni. Innanzi tutto per la loro tempestività, che ha visto una ricostruzione in gestazione da tempo sfornata il giorno in cui si riunisce il comitato chiamato a pronunciarsi sulla richiesta di impeachment a carico del presidente Napolitano avanzata dal Movimento 5 stelle. E colpiscono anche per il clamore che hanno suscitato: a giugno del 2011 la rottura con Gianfranco Fini si era consumata da ormai quasi un anno, e sei mesi prima una mozione di sfiducia al governo era stata respinta per meno di un pugno di voti.

La crisi economica internazionale era qualcosa di più serio di una invenzione a tavolino alla Dan Brown, e sui provvedimenti economici le scazzottate quotidiane fra l’allora premier e la sua maggioranza da una parte, e il ministro dell’Economia dall’altra, consentivano di ritenere un possibile incidente come un evento da non poter escludere a priori. In uno scenario del genere, sarebbe stato preoccupante se il Capo dello Stato non si fosse preso la briga di vagliare la disponibilità di soluzioni-paracadute in caso di una crisi improvvisa. Il che è cosa ben diversa dal determinare il corso degli eventi, cosa mai accaduta tant’è vero che il governo Berlusconi è andato avanti fino al mese di novembre.

A colpire più di ogni altra cosa nella notizia del giorno, tuttavia, sono i comprimari. Basta leggere i nomi che compaiono come "testimoni" nella narrazione per comprendere che la vera manovra è quella in atto in queste ore, e mira a determinare in questo momento, con questo Parlamento e in un clima di veleno e intimidazione il nome del successore di Giorgio Napolitano. E’ paradossale che di questo non ci si renda conto. Ed è ancora più paradossale che sia Forza Italia a farsi entuasiasta strumento dell’operazione.