La vera sfida per il nuovo Governo è il rilancio dell’economia
15 Aprile 2008
L’Italia che sta per
rilanciare la propria economia deve fare i conti coi paragoni che giungono dal
resto d’Europa. Questo è il caso degli ultimi dati sulla produzione
industriale, in crescita nell’intera Ue, ma non nel nostro paese.
Non bastano gli allarmi di Mario Draghi, governatore di Bankitalia, o del Fondo
Monetario Internazionale per carpire nella sua totalità il nostro
rallentamento.
L’Eurostat ha diramato i dati concernenti la produzione
industriale di febbraio. Il trend è ancora positivo, nonostante la crisi
subprime abbia destabilizzato le imprese e ridotto gli investimenti delle
stesse.
Per febbraio l’aumento è stato dello 0,3% nell’eurozona e dello 0,5%
nell’area economica degli stati membri. La crescita risulta in calo rispetto a
gennaio, dello 0,3% per la zona monetaria e dello 0,2% nell’Ue a 27 stati. Ma
la situazione fotografata dall’istituto di statistica europeo segnala che un
aumento, incurante degli scossoni finanziari che dureranno anche per buona
parte del 2008, è avvenuto in modo netto rispetto al febbraio 2007. Infatti,
sfogliando i dati dell’indice della produzione industriale dell’anno scorso,
l’aumento è stato nell’ordine del 3,1% nell’area euro e del 3,3% nel resto d’Europa.
I veri problemi sorgono quando si arriva a leggere le quote di crescita
italiana. Il calo è dello 0,8 per cento rispetto al 2007 e dello 0,2 rispetto a
gennaio 2008.
Un crollo significativo che denota quanto l’assetto industriale
italiano stia pagando lo scotto di un fisco asfissiante e della mancata
razionalizzazione della nostra pubblica amministrazione. Dopo il caso di
dicembre, in cui la produzione industriale ebbe una diminuzione del 6,5%, anche
per complicità dello sciopero degli autotrasportatori, una nuova scure si
abbatte sulla nostra economia, nonostante lo spettro dei subprime non si sia
ancora manifestato. Infatti, quello che emerge dalla relazione dell’Eurostat è
un’economia italiana in difficoltà.
C’è un aspetto che fa sorridere, tuttavia, in tutto questo
florilegio di dati. Se da una parte v’è un’Europa che sta tendendo sempre più
ad un ruolo da protagonista nell’assetto geopolitico mondiale, facendosi
consapevole della sua forza rispetto agli Stati Uniti, dall’altra c’è un’Italia
che si sta trascinando a fatica da due anni a questa parte.
L’Ue pare aver
finalmente compreso quale deve essere il suo ruolo in questo ciclo
congiunturale. Il mantenimento dei tassi al 4% è stato un segnale forte al
resto del mondo ed i dati della produzione industriale sembrano confermare le
previsioni di Jean-Claude Trichet, il cui scopo principale è quello di
controllare le impennate dell’inflazione, visto che la crescita economica è
ancora su livelli accettabili. Tutto il contrario accade in Italia, in cui la
stagflazione sta falcidiando le tasche delle classi meno abbienti e sta
riducendo a dismisura il potere d’acquisto delle famiglie.
Le parole di Draghi
dal Financial Stability Forum, i moniti del Fmi e le preoccupazioni
dell’Ocse non bastano per far cambiare la rotta all’Italia. Sarebbe lecito
domandarsi come mai se il resto d’Europa resiste, noi crolliamo. La risposta
sta nel sistema fiscale italiano, negli sprechi del pubblico settore e nel
modello di accesso all’imprenditoria. Proprio quest’ultimo punto, ci rende
estremamente vulnerabili rispetto agli attacchi commerciali che ci giungono dai
nostri concittadini europei. L’accesso al credito per “fare impresa” è pratica
lenta e complicata. I giovani che hanno una buona idea ed un ottimo business
plan, fanno fatica ad ottenere i finanziamenti necessari per iniziare, a causa
dell’enorme mole burocratica da sopportare, a cominciare dalle garanzie da
presentare presso l’istituto di credito. Questo, ma non solo, rallenta in modo
netto tutto il settore. Ma non solo, perché una delle cause del calo di cui
sopra è da ricercarsi nel numero degli intermediari fra la prima fase
produttiva ed il consumatore. In Italia, troppe bocche vogliono sfamarsi dallo
stesso piatto, con la conseguenza che il primo a rimetterci è l’ultimo della
fila, il consumatore.
calcio che, in età poco più che adolescenziale, vengono indicati come dei
futuri campioni e che poi non riescono a soddisfare le aspettative createsi.
L’Italia con tutti i punti di eccellenza che possiede, non dovrebbe
arrancare, dovrebbe correre, come il resto d’Europa.