La vera storia del “lodo Schifani” bis

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La vera storia del “lodo Schifani” bis

28 Giugno 2008

 

Dal “lodo Maccanico” poi diventato Schifani a quello ieri approvato dal Consiglio dei ministri e chiamato semplicemente “lodo Schifani bis”. In mezzo quasi sei anni di riflessioni, polemiche e soprattutto un intervento della Corte Costituzionale che nel gennaio del 2005 dichiarò l’illegittimità costituzionale della normativa. Un cammino quindi abbastanza tortuoso di un provvedimento che comunque in tutte le sue versioni ha sempre avuto come obiettivo centrale quello di garantire una sorte di “scudo” per le alte cariche dello Stato. Cariche che nelle prime due versioni si riferivano oltre ai presidenti di Camera e Senato, al presidente del Consiglio ed a quello della Repubblica anche al presidente della Corte Costituzionale. Una figura, quest’ultima, che nel “lodo Schifani bis” è stato “tagliato”. Un taglio che rappresenta una delle novità rispetto alle versioni passate. Rimanendo sempre nel campo delle differenze infatti rispetto alle prime versioni il nuovo provvedimento prevede che le vittime possano proseguire la loro azione in sede civile dove avranno una corsia preferenziale. Inoltre è previsto che i soggetti istituzionali interessati possano rinunciare volendo allo scudo dell’immunità. Cambiamenti di non poco conto visto che proprio il primo aspetto era stato oggetto di valutazione da parte della Corte Costituzionale e che aveva poi portato alla bocciatura dell’intero lodo. Infatti nella previsione del blocco del processo la Corte ravvisò la “creazione di un differenziato riguardo all’esercizio della giurisdizione, in particolare di quella penale”. In pratica la violazione dell’articolo 3 (principio di uguaglianza) e dell’articolo 24 (la difesa è un diritto inviolabile) della Costituzione. Guardando indietro come detto tutto ebbe inizio nel settembre del 2002 quando l’ex ministro Maccanico, allora esponente parlamentare della Margherita, dinanzi alle commissioni congiunte di Giustizia e Affari costituzionali della Camera lanciò la proposta di una legge bipartisan per assicurare “l’immunità di carica” al presidente del Consiglio, nonchè a quelli dei due rami del Parlamento e della Corte Costituzionale. Fino all’aprile del 2003 però la questione rimase fuori dall’agenda politica. Due furono però gli eventi che la riportarono al centro del dibattito: l’approvazione da parte della Camera della proposta di legge di attuazione dell’articolo 68 della Costituzione sulle immunità parlamentari, nota come testo Boato, e la sentenza del processo Imi-Sir/Lodo Mondadori con la condanna di Cesare Previti. Due fatti che riaprirono prepotentemente il dibattito. E così il “lodo Maccanico” ritornò al centro della scena riscontrando inoltre anche il favore dello stesso Massimo D’Alema e di Piero Fassino che in quei giorni andavano spiegando di essere favorevoli a un’intesa purchè il ddl fosse poi trasformato in legge costituzionale. Così alla fine di maggio del 2003 i capigruppo della Casa della Libertà al Senato presentano ufficialmente il lodo riprendendo il testo del ddl Boato ma con l’aggiunta di un emendamento che avrà tra i  primi firmatari Renato Schifani. Da qui il nome di “Lodo Schifani”. Il disegno di legge viene approvato a Palazzo Madama una decina di giorni più tardi e definitivamente dalla Camera il 18 giugno. Il provvedimento diventato legge  prevedeva che non potevano “essere sottoposti a processi penali, per qualsiasi reato anche riguardante fatti antecedenti l’assunzione della carica o della funzione, fino alla cessazione delle medesime: il presidente della Repubblica, il presidente del Senato, il presidente della Camera, il presidente del Consiglio, il presidente della Corte Costituzionale”. Approvazione che però non placò le polemiche complice anche lo stesso presidente della Repubblica Ciampi il quale, benché avesse firmato la legge, spiegò che questa non era manifestamente incostituzionale e che quindi spettava alla Corte Costituzionale dare un giudizio. Richiesta di legittimità costituzionale che fu inviata dai giudici del tribunale di Milano i quali dichiararono non manifestamente infondate le eccezioni di costituzionalità sollevate dal pm e dalle parti civili nel processo Sme in cui era appunto imputato il presidente del consiglio Silvio Berlusconi. Intanto però partirono pure le raccolte delle firme per indire un referendum. Il 23 giugno del 2004 lo stesso quesito referendario per abrogare la legge sull’immunità fu presentato due volte in Cassazione, prima da Verdi, Comunisti Italiani, Legambiente e Opposizione Civile, e poi dall’ Italia dei Valori di Antonio Di Pietro. Alla fine si arriverà ad un’unica richiesta con oltre 950mila firme depositate. Referendum al quale sarà dato anche l’ok, che però poi risulterà inutile vista la decisione della Corte Costituzionale nel gennaio del 2005 di dichiarare a maggioranza illegittimo il “lodo Schifani”. Dopo sei anni da quella prima proposta adesso il governo ci riprova forte però di un provvedimento che come lo stesso Guardasigilli Alfano ha ribadito è “in piena concordanza con le indicazioni della Corte costituzionale. Il lodo Schifani bis è un elemento di equilibrio in più verso un ordinato e sereno assetto tra i poteri dello Stato”. Peccato che però anche questa volta l’opposizione non sembri intenzionata a voler sentire ragioni, con Di Pietro pronto per l’ennesima volta a raccogliere le firme per un nuovo referendum abrogativo.