La verità è che il dialogo fra Chiesa e Islam è iniziato dopo Ratisbona

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La verità è che il dialogo fra Chiesa e Islam è iniziato dopo Ratisbona

La verità è che il dialogo fra Chiesa e Islam è iniziato dopo Ratisbona

Pubblichiamo un estratto del libro "Attacco a Ratzinger" (Piemme 2010) che ricostruisce l’esito della celebre questione legata al Discorso di Ratisbona. Gli autori, Paolo Rodari e Andrea Tornielli, sono rispettivamente vaticanisti del Foglio e del Giornale.

Con la storica visita alla stupenda Moschea Blu di Istanbul e le immagini del Papa assorto in preghiera accanto all’imam, l’incidente si può dire finalmente chiuso (gli autori fanno riferimento al Discorso di Ratisbona, ndr). Quelle immagini fanno il giro del mondo, dimostrano più di tante parole e precisazioni che il Papa è amico dell’islam. Le scuse sono state fatte. O meglio, il rammarico è stato esplicitato. La ferita con l’islam in parte è ricucita. Ma il Papa ha fatto davvero retromarcia rispetto a Ratisbona? Ha ripensato la sua strategia decidendo di affidarsi nuovamente alla diplomazia della Santa Sede? L’impressione è che la reazione del mondo islamico sia stata talmente forte da provocare un ripensamento.

Nella Chiesa e fuori dalla Chiesa i pareri intorno alla lectio di Ratisbona sono diversi. Già nei giorni caldi del dopo viaggio, due eminenti personalità del mondo ecclesiastico avevano espresso diversi punti di vista. Il cardinale Camillo Ruini, ad esempio, aveva parlato della «splendida» lezione del Papa dicendo che in essa alcune espressioni «sono state equivocate» forse fino «a fornire il pretesto per l’abominevole assassinio di suor Leonella Sgorbati» a Mogadiscio. Mentre il cardinale Carlo Maria Martini, secondo quanto hanno riportato in quei giorni alcuni giornali, avrebbe detto che il Papa ha forse «parlato troppo da professore», come titola il 20 settembre «La Stampa». 

Al di là dei diversi punti di vista un dato resta: la lezione a Ratisbona era volutamente “impolitica”. Anche per questo ha lasciato il segno, nel bene e nel male. Scrive in proposito su «Asianews» qualche mese dopo, il 16 gennaio 2007, padre Samir Khalil Samir, gesuita e islamologo: «La lezione magistrale di Benedetto XVI a Ratisbona è stata vista da cristiani e musulmani come un passo falso del Papa, un suo banale errore, qualcosa da dimenticare e lasciarsi alle spalle, se non vogliamo fomentare una guerra fra religioni. In realtà questo Papa dal pensiero equilibrato e coraggioso, per nulla banale, a Ratisbona ha tracciato le basi di un vero dialogo fra cristiani e musulmani, diventando voce di molti musulmani riformisti e suggerendo all’Islam e ai cristiani i passi da fare. Ancora oggi in Occidente e nel mondo islamico vi sono forti reazioni a quel discorso. Ma molti studiosi musulmani cominciano a domandarsi: ‘Passata la burrasca dei fraintendimenti, in fondo, cosa ci ha detto Benedetto XVI? Ha detto che noi musulmani corriamo il grande rischio di eliminare la ragione dalla nostra fede. In tal modo la fede islamica diviene solo un atto di sottomissione a Dio che al limite può cadere nella violenza, magari in nome di Dio, o per difendere Dio’».

L’ottimismo di padre Samir viene confermato anche da un fatto. Un mese dopo la lezione di Benedetto XVI, trentotto personalità musulmane scrivono al Papa una lettera aperta nella quale in parte concordano e in parte dissentono con le posizioni da lui sostenute. I trentotto appartengono a varie nazioni e a differenti correnti di pensiero. Nel mondo islamico è la prima volta che personalità così diverse parlano con una sola voce, ed espongono al capo della più importante Chiesa cristiana i princìpi dell’islam, con l’intento di arrivare a una «mutua comprensione». Nei mesi successivi altre firme si aggiungono a quelle iniziali e i trentotto divengono cento. Un anno dopo, i cento diventano centotrentotto e rendono pubblica una seconda lettera, in coincidenza con la fine del Ramadan, chiamata «Una parola comune fra noi».

La seconda lettera viene indirizzata al Papa ma anche al patriarca ecumenico di Costantinopoli Bartolomeo I, al patriarca di Mosca Alessio II e ai capi di altre diciotto Chiese d’Oriente; all’arcivescovo anglicano di Canterbury Rowan Williams; ai leader delle federazioni mondiali delle Chiese luterane, riformate, metodiste e battiste; al segretario generale del Consiglio Mondiale delle Chiese, Samuel Kobia, e in generale «ai leader delle Chiese cristiane». La prima lettera sosteneva posizioni molto nette a favore della libertà di professare la fede «senza costrizioni». Rivendicava la razionalità dell’islam pur tenendo ferma l’assoluta trascendenza di Dio. Ribadiva con decisione i limiti posti dalla dottrina islamica al ricorso alla guerra e all’uso della violenza, condannando i «sogni utopistici nei quali il fine giustifica i mezzi». E auspicava un rapporto tra islam e cristianesimo  fondato sull’amore di Dio e del prossimo, i «due grandi comandamenti» richiamati da Gesù nel Vangelo di Marco 12, 29-31. La seconda lettera parte proprio dalla conclusione della prima, e la sviluppa.

I centotrentotto firmatari appartengono a quarantatré nazioni diverse. Alcuni di essi vivono in Europa e negli Stati Uniti, ma la maggior parte vive in paesi musulmani: dalla Giordania all’Arabia Saudita, dall’Egitto al Marocco, dagli Emirati allo Yemen; ma anche in Iran, in Iraq, in Turchia, in Pakistan, in Palestina. Il 12 ottobre 2007 è il cardinale Jean-Louis Tauran, presidente del Pontificio consiglio per il dialogo interreligioso, a dire ai microfoni di Radio Vaticana che la lettera dei centotrentotto è «un documento molto interessante e nuovo, poiché proviene sia da musulmani sunniti sia da musulmani sciiti». A Tauran il Papa affida il compito di portare avanti il dialogo iniziato coi centotrentotto. Un primo incontro tra le parti si è svolto in Vaticano nel 2008. L’avvio di questo dialogo non sarebbe avvenuto se non ci fosse stata la lectio papale di Ratisbona su fede e ragione.

Nella nuova edizione, aggiornata con diverse aggiunte e approfondimenti, del libro-intervista L’ultimo segreto di Fatima, curato dal direttore della struttura Rai Vaticano, Giuseppe De Carli, il cardinale Bertone così rievoca il caso: «Appena iniziato il mio incarico è scoppiato il problema del celebre discorso di Ratisbona, anche se era stato pronunciato quando era ancora segretario di Stato il cardinale Angelo Sodano. In effetti, i giorni seguenti sono stati piuttosto turbolenti. Le conseguenze di una capziosa interpretazione del discorso del Papa avevano destato equivoci e preoccupazioni. Ma il successivo viaggio in Turchia ha rimesso sui binari giusti il dialogo con l’islam. Grazie a Dio, adesso i rapporti sono ripresi con la dovuta stima e cordialità reciproca».

Tratto da Paolo Rodari e Andrea Tornielli, "Attacco a Ratzinger", Piemme 2010

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