La verità sul Partito Repubblicano (dopo Bush)
27 Aprile 2015
Si guarda agli Usa e al Partito Repubblicano per rifondare il centrodestra italiano. Si rilegge il bellissimo ma ormai datato saggio sulla Right Nation, con un pizzico di nostalgia per le vittorie dei Bush. Ma si trascura un aspetto non secondario della questione. Negli ultimi anni, il GOP ha perso.
A cominciare dal marketing politico, con l’incapacità manifesta di trovare sfidanti credibili a un professore universitario dal nome esotico, il primo presidente nero della storia americana, e tra un anno la storia potrebbe ripetersi con la prima candidata donna alla Casa Bianca.
Si pensi poi all’attesa palingenetica che circondò il Tea Party, una mezza rivoluzione che ha prodotto altrettanta disaffezione e scetticismo nella base moderata del partito (si poteva credere davvero che alla Casa Bianca fossero sbarcate le Pantere Nere?). Oppure al fiscal cliff e al modo con cui i Repubblicani affrontarono la Grande Crisi.
Agli americani impauriti dal crollo di Lehman si rispose con la proposta di nuovi tagli alla spesa e con riduzioni fiscali per i più abbienti: quando si dice cogliere lo spirito dei tempi. Ci si è rinchiusi infine in una visione provinciale e localistica del partito, mentre si cedevano agli avversari pezzi importanti dell’elettorato nazionale come i giovani, le donne, il voto delle "minoranze".
Il risultato sono stati i due mandati di Obama, il primo all’attacco, il secondo in difesa, anche se ci vuole un bel coraggio nell’inserire il filibustering tra i successi della opposizione repubblicana divenuta intanto e faticosamente maggioranza al Congresso.
Per cui se l’ambizione non è semplicemente quella di venerare sotto una teca i principi della Rivoluzione conservatrice ma renderli attuali e competitivi bisognerebbe calarli con più realismo nella vita quotidiana delle persone. La gente oggi pensa a come salvare il salvabile, non alle grandi visioni o agli slogan di questo o di quello. Vuole soluzioni concrete, per esempio bonus e sgravi per le famiglie.
Il lungo ciclo obamiano si sta esaurendo non perché sia emersa un’alternativa credibile al presidente ma per forza di cose, per un fatto naturale. Ora potrebbe iniziarne uno nuovo e i Repubblicani guardano con maggiore ottimismo del passato alle Presidenziali del 2016. Ma resta aperta la questione sull’identità del movimento, con Reagan e oltre Reagan, in attesa di trovare un fuoriclasse dal profilo internazionale.
Così, paradossalmente, per chi dall’Italia guarda agli Usa, alla “Nazione che si sente giusta perché è di destra”, la lezione che si può trarre da questi ultimi anni non è tanto imparare a vincere ma al contrario come evitare di perdere. Dopo aver visto Romney che si accodava a Ryan, abbiamo capito che non si vince né radicalizzandosi, né con atteggiamenti elitari che la base non comprende. Si vince offrendo un’alternativa alla presunta agenda centrista della nuova sinistra.
Un’agenda che anche il centrodestra italiano deve affrettarsi a riscrivere se vuole accorciare la sua traversata nel deserto.