La via difficile dei moderati
19 Agosto 2015
Siamo davvero davanti al declino delle politiche moderate, come ha scritto Dionne sul Washington Post, spiegando che l’emergere del “trumpismo”, i movimenti ribellistici europei, il revival sinistrorso tra Usa e Gb rappresentano un problema nient’affatto trascurabile per le forze riformiste? Da Salvini a Grillo passando per i vari “Podemos” il rischio c’è tutto, se si guarda al nostro orticello.
Dionne però vola alto, e cita alcuni brani del “Secondo avvento”, il poema di Yeats, per cercare di illuminare i profondi cambiamenti che avvengono nella politica: “I migliori hanno perso ogni fede, e i peggiori si gonfiano di ardore appassionato”, verso che Dionne giudica “irresistibile”. E ancora: “tutto si sfalda, il centro non può resistere”.
Il centro, luogo che i partiti hanno sempre cercato di occupare, non sembra più in grado di tenere, non è più il punto di equilibrio che decide la vittoria di una parte o dell’altra. L’analisi conferma cose che già sappiamo e sperimentiamo ogni giorno: la crisi dei partiti e dei politici tradizionali, la richiesta popolare di “forti dosi di impazienza, risentimento e indignazione”, la nascita, in tutta Europa, di movimenti che oscillano tra nazionalismo e populismo, creando nuove esplosive miscele anti-establishment (in Italia si direbbe anti-casta).
La posizione dei moderati, in un contesto simile, è difficile come mai prima d’ora. Ma l’esperimento messo in piedi in Italia (e altrove) durante questa legislatura, la “strana maggioranza” con Renzi, dopo l’esperienza del Governo Letta, appare francamente e per il momento l’unico modo per rispondere all’ondata dell’antipolitica, alla polarizzazione determinata dagli opposti populismi (Lega e 5 Stelle).
Da una parte vanno riconosciuti a Renzi gli sforzi per riformare il suo partito superando la sinistra novecentesca, fronteggiando fortissime fibrillazioni interne, dall’altra il Nuovo Centrodestra nasce e cresce come alternativa alla “salvinizzazione” del berlusconismo (mentre il Cavaliere continua a oscillare tra derive estremiste e nostalgia del Nazareno).
Leggendo l’editoriale del Washington Post e guardando al contesto europeo e internazionale, viene quindi da commentare che il Governo Renzi sarà pure frutto di un’accoppiata ‘innaturale’ ma è ovvio che quel che resta di una politica riformatrice tenda a convergere davanti all’estremizzazione populista, alla semplificazione assoluta del dibattito pubblico ridotto tanto spesso a rissa da bar, pieno di colpi bassi (altro che pancia) all’elettorato, alla mancanza di una vera e concreta proposta di governo.
Del resto che fine hanno fatto gli alfieri italiani di Tsipras, quelli che volevano strappare i trattati europei e rompere con ogni vincolo “imposto” da Bruxelles? La propaganda facile contro l’Euro e l’Europa fino adesso ha forse prodotto qualcosa? Eppure questi slogan continuano a risuonare, funebri ma insieme attraenti, come nel mondo descritto da Dionne.
L’alternativa, com’è avvenuto altre volte in passato nel nostro Paese, è il realismo riformatore, la chiave per riportare le pulsioni dell’antipolitica all’interno della volontà e della possibilità di governare. La via difficile dei moderati italiani.