La vita di Charlie per i medici non “valeva” le cure. E adesso è troppo tardi
25 Luglio 2017
Come abbiamo appena saputo, i genitori di Charlie hanno rinunciato alla loro battaglia legale, cioè alla richiesta di tentare una terapia sperimentale per loro figlio. Il team medico internazionale finalmente ha potuto visitare Charlie, ma “Danni muscolari irreversibili sono stati fatti e la cura non può più avere successo”, ha affermato il legale nel motivare la decisione dei genitori, aggiungendo: “Charlie ha atteso con pazienza le cure. A causa del ritardo, quella finestra d’opportunità è andata perduta”. “Entrambi i medici”, Michio Hirano e Bertini “hanno concordato che il trattamento doveva iniziare prima. C’è una ragione semplice per la quale i muscoli di Charlie si sono deteriorati tanto – dicono i genitori – ed è il tempo. E’ stato sprecato tantissimo tempo”. Perché allora non si è tentato il protocollo sperimentale? Il nodo sta, secondo i genitori, “nell’irreversibile danno cerebrale rilevato” dall’ospedale, che invece secondo gli esperti internazionali non c’è stato. Un disaccordo fra gli specialisti di Londra e quelli del team internazionale, evidenziato dai genitori.
Si sono persi mesi preziosi, decisivi per la vita di Charlie, in battaglie legali nate perché fin dall’inizio i medici del GOSH avevano deciso che non ne valeva la pena, che in quelle condizioni, con quella qualità di vita, per Charlie era meglio morire.
E’ sufficiente leggere le sentenze, specie la prima: Charlie nasce il 4 agosto 2016 e si ricovera l’11 ottobre. A novembre c’è la diagnosi, e il comitato etico rifiuta la richiesta di tracheostomia – la ventilazione con il “tubo in gola”, anziché nel naso, come invece lo ha sempre avuto. Va detto che la tracheostomia si fa nella prospettiva di un lungo periodo di ventilazione. E’ stata rifiutata perché già in novembre secondo il Comitato etico “la qualità della vita era così povera che non sarebbe mai stato soggetto a una ventilazione a lungo termine […] da quel tempo Charlie aveva sofferto un significativo deterioramento nelle funzioni cerebrali”. Insomma: con quella diagnosi e quella qualità di vita non ne valeva la pena.
Va detto che la terapia sperimentale non l’hanno proposta i medici, ma l’ha trovata Connie, la mamma di Charlie, alla fine di dicembre. Va specificato che la dottoressa del GOSH che aveva in cura Charlie, teoricamente esperta in malattie mitocondriali, già conosceva Hirano, il medico americano trovato dalla mamma di Charlie. Gli esperti di quel settore sono pochi al mondo, si conoscono tutti. E sicuramente la dottoressa conosceva già le terapie che Hirano usava per i bambini con la mutazione genetica simile ma diversa da quella di Charlie. Ma non le è neppure venuto in mente di consultarlo, e di offrire a Charlie quella possibilità.
Dopo la sollecitazione dei genitori, il bambino fa una prima risonanza, i medici del Gosh accettano di tentare di trattare Charlie, e avviano le pratiche. E’ il 9 gennaio 2017, ma in quegli stessi giorni Charlie viene colpito da encefalopatia, e i medici decidono che non ne vale più la pena. Tanto che Chris e Connie, che invece insistono, leggono una mail scambiata fra due medici che dicono fra loro “i genitori mettono i bastoni fra le ruote. Con questi attacchi la situazione è peggiorata e significa che la sperimentazione non è nel suo miglior interesse”. Da quel momento in poi al Gosh sono definitivamente decisi a dire che non vale la pena trattare Charlie, anzi: bisogna sospendere la ventilazione e fare palliative, cioè lasciarlo morire.
Hirano concorda con la diagnosi del GOSH, ma dice che lui comunque proverebbe: c’è una piccola possibilità che il danno al cervello non sia completamente irreversibile. Se avesse lui in cura Charlie, lo tratterebbe, perché “c’è una evidenza teorica e aneddotica che le sostanze potrebbero attraversare questa barriera (la barriera ematoencefalica, ndr) e avere effetto sul cervello” e ancora “data la mancanza di dati su questo trattamento in un modello animale o nei pazienti per la mutazione RRMB2 (quella di Charlie, ndr), non posso prevedere il risultato, anche se c’è un razionale scientifico che il trattamento possa potenzialmente migliorare questa situazione”.
E’ bene ricordare che il trattamento sperimentale consisteva in sostanze da sciogliere nel latte, e come effetto avverso ci può essere la diarrea.
Come dice la sentenza “trasportare Charlie negli Usa potrebbe essere problematico, ma possibile”.
La dottoressa “esperta” del Gosh che cura Charlie, sottolinea che “non c’è evidenza negli umani che la sostanza potrebbe attraversare la barriera ematoencefalica”, visto che è stata usata per una mutazione genetica diversa da quella che ha colpito Charlie. “Ma, anche se avesse la capacità di attraversare quella barriera, non è possibile invertire il processo per i neuroni già persi”: e poi spiega che fra lei e il medico americano non c’è una differenza dal punto di vista scientifico, ma “c’è una differenza culturale nella filosofia fra i trattamenti negli USA e in Gran Bretagna. Lei cerca di avere il bambino al centro delle sue azioni e dei suoi pensieri, mentre negli USA, purché finanziati, sperimentano di tutto”.
Charlie finora ha sofferto? No, perché è stato sedato, nonostante non ci siano prove della sua sofferenza.
La battaglia giudiziaria è tutta qui, nella “differenza culturale”: il GOSH ritiene che nelle condizioni di Charlie la cosa migliore sia morire, perché non ci sono sufficienti prove che possa migliorare. La sua qualità di vita è troppo bassa. E infatti chiede di staccare il ventilatore, perché in quel modo sicuramente Charlie morirà subito. I genitori chiedono invece di dargli una chance. Il dolore non si sa se c’è, e comunque è sotto controllo.
E’ bene chiarire che il caso è montato NON perché l’ospedale si sia rifiutato di somministrare un trattamento sperimentale, ma perché ha impedito ai genitori di portare Charlie in un altro ospedale: nella logica inglese, per Charlie continuare a vivere in quelle condizioni era un danno, e quindi bisognava impedire che fosse danneggiato. Tentare di migliorare non aveva senso, perché, secondo loro, forse sarebbe migliorato, ma le probabilità erano basse e soprattutto se fosse migliorato lo sarebbe stato poco, e quel poco non avrebbe migliorato sufficientemente la sua qualità di vita, non l’avrebbe comunque resa degna di essere vissuta.
E’ bene sottolineare che questo è il cuore del problema dell’eutanasia: ci sono vite che, per la bassa qualità che portano, è bene terminare? E se sofferenza c’è, non è quella relativa al dolore fisico – Charlie era sedato – ma ad una situazione inguaribile e neppure migliorabile, senza speranza, con una morte non imminente, ma inevitabile. Ne riparleremo.
Solo con una sollevazione mondiale i genitori sono riusciti a far visitare Charlie da un team di specialisti. Ma, come abbiamo visto in queste ore, adesso è troppo tardi.
Charlie aveva una possibilità concreta di migliorare, ora non sapremo mai che cosa sarebbe accaduto se avesse ricevuto il trattamento”, ha dichiarato Connie, la sua mamma. “Amiamo molto Charlie. Nostro figlio è un guerriero” e il suo lascito “non morirà mai”, “il suo spirito vivrà per l’eternità”.
“Continueremo ad aiutare e supportare le famiglie dei bambini malati”, assicurano Connie e Chris, ringraziando le persone di tutto il mondo che li hanno sostenuti nei mesi e mesi di battaglia legale, gli avvocati che li hanno assistiti senza chiedere un penny, e lo staff del Great Ormond Street Hospital, che ha curato Charlie in questi lunghi mesi, tenendolo stabile. “L’assistenza che ha ricevuto dalle sue infermiere non è seconda a nessuno”. Ma soprattutto “vogliamo ringraziare Charlie per la gioia che ha portato nelle nostre vite. L’amore che abbiamo per te è troppo grande per dirlo a parole”
E ognuno di coloro che ha contribuito a tutto questo ne risponderà davanti a Dio.