La vittoria dolce-amara

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La vittoria dolce-amara

29 Giugno 2007

Con piacere ospitiamo all’interno della nostra rubrica un intervento di Gilles Le Béguec, professore di storia politica all’Università di Paris X – Nanterre, specialista del gollismo e della destra in Francia.

 

Nonostante la conquista della maggioranza assoluta dei seggi all’Assemblea nazionale, il secondo turno delle elezioni legislative ha costituito una crudele delusione per la maggioranza riunita attorno a Nicolas Sarkozy. Seguendo uno schema che assomiglia molto a quello del 1967, una parte del corpo elettorale ha sentito il bisogno di correggere il tiro e di limitare la portata della vittoria. Il futuro dirà se un tale comportamento sia il semplice prodotto di una congiuntura politica determinata (come era il caso nel 1967) o se i Francesi, consapevoli del carattere ineluttabile della presidenzializzazione della V Repubblica, stiano costruendo un’autentica cultura dello sviluppo dei contropoteri. Da parte nostra propendiamo per la seconda ipotesi.

Senza entrare nei dettagli, bisogna aggiungere che l’esame attento della carta elettorale è tale da suscitare inquietudine. Nonostante il puntello del “nuovo centro”, la maggioranza ha subito dei rovesci molto seri, talvolta del tutto inattesi, a Parigi (un tempo uno dei suoi più solidi bastioni), in un certo numero di grandi città, nell’insieme dei dipartimenti del Sud-Ovest e del Centro Ovest e nella maggioranza dei Territori e Dipartimenti dell’Oltremare. Da questo punto di vista, la sconfitta di Alain Juppé in una circoscrizione ritenuta “sicura” del centro di Bordeaux riveste un significato che va al di là della sola persona dell’ex primo ministro.

Vengono naturalmente in mente numerosi tipi di spiegazione.

Lasceremo da parte quanto attiene alla responsabilità diretta del capo dello Stato e del nuovo governo, vale a dire l’effetto eventualmente negativo di alcune iniziative o di alcuni atteggiamenti. Citiamo dunque per ricordare:

– le goffaggini del ministro dell’Economia (Jean-Louis Borloo) e dello stesso primo ministro sulla spinosa questione della TVA  [IVA] sociale;

– un inizio di malessere in seno alla destra profonda sulla questione dell’“apertura”, con la sensazione diffusa che i responsabili della maggioranza concedano troppo spazio a ex avversari;

– la precedenza data da Nicolas Sarkozy alla politica estera, o più esattamente l’impressione che egli si sia investito un po’ troppo in questo ambito “regio” per eccellenza. Bisogna ricordare a questo proposito che le questioni di politica estera avevano occupato un posto assai secondario durante la campagna presidenziale e che una parte importante dell’opinione era contrariata dal modo in cui gli ultimi due capi dello Stato (François Mitterrand e Jacques Chirac) avevano privilegiato la loro azione sulla scena internazionale nel corso degli ultimi anni del loro mandato.

Tuttavia, ammettiamo che rimaniamo qui nel campo delle semplici ipotesi.

Ci sembra ben più grave il modo in cui la maggioranza e i suoi capi (con l’eccezione forse di Nicolas Sarkozy) hanno accolto e commentato i risultati del primo turno delle elezioni. Non si fa riferimento tanto ad un certo trionfalismo (con evidenza controproducente), quanto al trattamento verbale riservato al centro di François Bayrou e al Fronte nazionale di Jean-Marie Le Pen. Era veramente utile sottolineare rumorosamente che François Bayrou era condannato alla sconfitta e che la maggioranza detta “repubblicana” stava per marginalizzare il Fronte nazionale? Una regola d’oro in politica è che non bisogna mai umiliare gratuitamente l’avversario, soprattutto quando si ha obiettivamente bisogno di lui, ossia nel caso presente dei voti che esso aveva raccolto al primo turno. Non a caso Georges Pompidou, all’epoca primo ministro, aveva molto ben spiegato all’indomani del primo turno, molto deludente, dell’elezione presidenziale del 1965 che non bisognava più parlare di Jean Lecanuet, uno dei principali responsabili del fatto che il generale de Gaulle fosse stato portato al ballottaggio. La lezione è stata dimenticata.

Eppure, a nostro parere, l’essenziale concerne piuttosto la congiunzione di due fattori.

1/ il dispositivo di pilotaggio della maggioranza è senza dubbio troppo complesso, con tre centri di direzione: il capo dello Stato, che vuole dirigere ancora più dei suoi predecessori; il primo ministro e lo stato maggiore dell’UMP, uno stato maggiore che non aveva ancora trovato il proprio posto all’epoca della campagna. La storia della V Repubblica mostra come le elezioni legislative difficili – quelle del 1967 così come quelle del 1973 – sono state vinte quando questo dispositivo si è concentrato (a vantaggio del primo ministro nel 1967, a vantaggio del presidente della Repubblica nel 1973). Si può pensare che lo stesso fenomeno si verificherà a beneficio del capo dello Stato in occasione delle prossime scadenze elettorali. Eppure, la storia mostra anche che tali operazioni di chiarimento dei ruoli non si fanno senza difficoltà.

2/ Si possono nutrire seri dubbi sulla capacità politica dell’UMP in ambito elettorale. Costituita precipitosamente all’indomani dell’elezione presidenziale del 2002, l’UMP aveva subito pesanti sconfitte in occasione delle elezioni locali successive (cantonali e poi regionali). Questi insuccessi sono stati cancellati dalla vittoria di Nicolas Sarkozy all’elezione presidenziale. Eppure, a torto si confonderebbero due cose ben differenti. La conquista dell’UMP e lo scatto di dinamismo infuso all’organizzazione da questa presa del potere hanno senza dubbio costituito delle carte vincenti essenziali nel gioco di Nicolas Sarkozy. In altri termini, l’UMP rinnovata (almeno in apparenza) è stata il trampolino indispensabile. Ciò non implica affatto che essa sia uno strumento di controllo elettorale e di animazione delle campagne elettorali, in particolare a livello delle circoscrizioni. Al contrario del PS, l’UMP non sembra ancora esser riuscita ad articolare efficacemente i tre livelli, quello del potenziale militante, quello delle reti di eletti locali e quello degli apparati centrali. L’esempio di Parigi e veramente rivelatore di quest’ultimo punto di vista.

Si tratta di problemi strutturali, legati tra di loro in modo molto stretto. Si preparano altre delusioni se non saranno date rapidamente risposte adeguate.

 

Gilles Le Béguec