L’accordo Cina-Vaticano sdogana una chiesa scismatica prona al regime e un totalitarismo feroce
22 Ottobre 2020
L’accordo (segreto) tra il Vaticano e la Cina comunista in fase di rinnovo ha due aspetti apparentemente diversi tra loro ma in realtà convergenti a renderlo tragico per la Chiesa non solo in Cina ma ovunque.
Il primo aspetto è di ordine ecclesiastico e attiene alla morte della Chiesa fedele al papa, la Chiesa clandestina come veniva chiamata, morte che l’accordo porta inevitabilmente con sé. Su questo è difficile non dare ragione al cardinale Zen e torto al cardinale Parolin. In pratica i vescovi della Chiesa nazionale vengono regolarizzati da Roma senza che costoro promettano nulla circa la fedeltà al Papa e circa il loro comportamento futuro. Tanto è vero che essi mantengono apertamente i loro rapporti con il Governo e lavorano in vista di una Chiesa cattolica sinizzata, termine che a Pechino ha un solo e chiaro significato. Il Vaticano ha chiesto ai vescovi fedeli al Papa di uscire dalla clandestinità e di entrare nella Chiesa di Stato. Molti si sono dimessi. Non si trattava di un ordine ma di un consiglio, ma che altro avrebbero potuto fare? L’unica Chiesa cinese è ormai quella di Partito ed anche una vita di clandestinità non avrebbe avuto più senso, dato che proprio il Papa, la fedeltà al quale ne giustificava l’esistenza, ora la rinnegava. Del resto se prima la Chiesa clandestina veniva più o meno tollerata, da allora in avanti era facile pensare che così non fosse più.
Dal punto di vista strettamente ecclesiastico questo quadro è più che sconcertante. Il suo mantenimento si fonda sulla menzogna e sul tradimento. Si tratta dell’abbandono alla deriva di una Chiesa nazionale e dell’inserimento nel corpo ecclesiale di una Chiesa scismatica i cui vescovi, fedeli esecutori del Partito Comunista Cinese, entreranno negli organismi della Chiesa universale, un domani anche nella Curia romana, e quando qualcuno di loro entrerà nel collegio cardinalizio potrà anche contribuire all’elezione di un nuovo pontefice. Una Chiesa non fedele a Roma non può far parte della Chiesa se non per guastarla dall’interno.
C’è però un altro aspetto che, come dicevo, viene spesso considerato di altro genere in quanto di carattere politico. Il regime comunista è un regime totalitario e disumano, al cui interno si pianificano forme di controllo della libertà, lotta alla vita nascente, segregazioni personali ingiustificate, sospensione delle garanzie dell’habeas corpus, violenza istituzionalizzata, spionaggio sistematico nella vita privata. La Cina, che ha inventato la pandemia da Covid-19, ora si presenta come modello per la sua soluzione, quello che molti chiamano il “modello cinese”. La Cina, che è il principale inquinatore mondiale, si presenta come un Paese affidabile anche per il Vaticano oggi così attento e sensibile all’ambientalismo, La Cina, che sta colonizzando l’Africa impossessandosi delle sue fonti di energia, è considerata molto meno pericolosa degli Stati Uniti di Trump e anche l’enciclica Fratelli tutti indica solo l’Occidente e non la Cina come fonte dello sfruttamento globale. La Cina, che tutti ritengono degna di far parte e di dirigere i consessi ONU sui diritti umani, è in realtà la principale loro minaccia. La Cina ha il più alto numero di esecuzioni capitali al mondo, ma questo non disturba il Vaticano, nonostante la recente (discutibile) condanna dottrinale della pena di morte fatta da papa Francesco.
Fino a Benedetto XVI la linea era la medesima su tutti e due i fronti, quello ecclesiale e quello politico. La dottrina non permetteva di accettare una Chiesa scismatica, e la Dottrina sociale della Chiesa non permetteva di accettare un totalitarismo feroce. I due aspetti si richiamavano l’un l’altro ed erano due facce della medesima politica. Già la Ost Politik iniziata con Paolo VI aveva abbassato il tiro: il silenzio sulla Chiesa del silenzio e lo svolgimento del Vaticano II mentre gloriosi vescovi cattolici erano ancora nelle prigioni comuniste assomiglia molto alla nuova Ost Politik cinese. Ambedue si configurano come una omissione sia in campo ecclesiastico che in campo politico. Allora di fatto la Chiesa accettò in qualche modo il comunismo sovietico, ora cembra accettare quello cinese.
Dicevo che le conseguenze non si limiteranno alla sola Cina, né per quanto riguarda la questione ecclesiastica né per quella politica. In Cina la Chiesa sta rinunciando alla propria unità di Corpo mistico di Cristo, che chiede anche una unità visibile attorno al papa, vero garante della successione apostolica. Ma sta anche rinunciando ai principi della propria Dottrina sociale, che infatti in questa fase della sua vita, viene ampiamente abbandonata se non stravolta. Nel febbraio 2018 la famosa espressione del Presidente della Pontificia Accademia delle Scienze sociali di allora, l’arcivescovo Sanchez Sorondo, sulla Cina come il Paese in cui meglio è realizzata la Dottrina sociale della Chiesa, ancorché strabiliante, non fu tuttavia un lapsus.
Con Giovanni Paolo II e Benedetto XVI la Chiesa si era dimostrata coraggiosamente capace di impedire le secessioni interne (Ratzinger si era adoperato addirittura al contrario per dare un casa ai profughi della Chiesa anglicana che volevano riconciliarsi con Roma) e di fronteggiare a testa alta i totalitarismi, sia piccoli sia grandi. Oggi la Chiesa sembra essere in gravi difficoltà su ambedue i fronti, che sono poi un unico fronte.